L’intossicazione digitale

La digitalizzazione della nostra società avanza ormai ad un ritmo esponenziale, e tutte le nostre attività quotidiane si vanno a svolgere, sempre di più, sulla rete internet. Si tratti di utilizzare servizi, di acquistare prodotti, o di informarci su quello che avviene nel mondo, ormai tutto si svolge online, e tutti i processi sociali e delle diverse organizzazioni si sono spostati sulla rete, con un incremento enorme di efficienza e di disponibilità per tutti.

Questo enorme e veloce progresso è accompagnato anche da diversi aspetti negativi, che stanno impoverendo la nostra cultura, le nostre capacità di discernimento e di analisi dei fatti. E non parlo solo della disinformazione e del proliferare delle fake news, parlo proprio di abbassamento del livello culturale delle persone, come effetto perverso della superficialità e della frugalità con cui si accede alle informazioni e alla cultura in generale, utilizzando ormai prevalentemente la rete.

E’ del mese scorso la pubblicazione del rapporto OCSE sugli skills degli adulti, nei vari paesi del mondo, e il risultato dell’indagine è scoraggiante, addirittura disastroso per quanto riguarda l’Italia. Il rapporto è intitolato “Hanno gli adulti le competenze necessarie per vivere in un mondo che cambia?” (https://www.oecd.org/en/publications/do-adults-have-the-skills-they-need-to-thrive-in-a-changing-world_b263dc5d-en.html). Dal rapporto risulta che un quarto degli adulti non è in grado di comprendere un testo semplice, o anche di eseguire dei semplici calcoli. In Italia la percentuale è enormemente superiore, arrivando al 45,6 % di “low performers”. Al contrario, quelli che hanno un alto tasso di alfabetizzazione sono, nella media dei paesi OCSE, del 11,6 %, mentre in Italia sono solo il 5,4 %.

C’è da chiedersi, nel panorama disarmante complessivo, perchè l’Italia si colloca agli ultimi livelli della classifica. Questo dato negativo, purtroppo, da solo non basta a spiegare questa regressione, va anche letto insieme al basso tasso di laureati (20% in Italia, contro il 40% in Europa, la metà), alla stagnazione più che ventennale della produttività, al basso livello dei salari, con stipendi al limite della sopravvivenza, e alla carenza di strutture e di servizi nelle aree meno protette del paese e in vasti strati della popolazione. E poi ci si interroga sul perchè i giovani scappano all’estero, sul basso livello delle nascite, e sul progressivo invecchiamento della popolazione.

Mettiamo da parte i discorsi politici, non è questa la sede perchè meriterebbero una diversa attenzione, e concentriamoci sugli effetti perversi della rete. L’accesso a fonti di informazioni superficiali e poco attendibili pervade ormai la nostra quotidianità, e l’obiettivo delle grandi piattaforme social non è certo quello di promuovere una informazione chiara e affidabile, ma di prolungare la permanenza in rete, propinandoci pubblicità di ogni tipo, che consente loro di accumulare enormi guadagni, pagando, tra l’altro, pochissime tasse, basando le proprie sedi in paesi dalla tassazione molto favorevole. Un ulteriore elemento che fa riflettere è la decisione di Meta di questi ultimi giorni di non utilizzare più servizi di “fact checking“, ma di affidarsi alle comunità dei social per controllare le notizie. Se non fosse grave, ci sarebbe da morire dal ridere. Non che quei servizi funzionassero bene, intendiamoci, ma erano comunque un piccolo elemento di controllo, in una giugla incontrollata.

La responsabilità di informarsi da fonti attendibili, e di formarsi culturalmente, è in capo alle singole persone, ad ognuno di noi. Nessun meccanismo, o ente, o gruppo di studio, può proteggerci da noi stessi. Dobbiamo assumere un approccio responsabile che ci guidi nelle scelte, evitando un ulteriore aumento dell’avvelenamento da Internet.

La chiave di tutto è la Selezione e l’Approfondimento. Se ci interessa qualcosa, dobbiamo andare a leggere le fonti attendibili, imparare ad usare produttivamente i motori di ricerca, a selezionare le fonti che sono accreditate dalla comunità scientifica e dell’informazione più professionale. Il resto tocca a noi, e per esercitare la nostra responsabilità dobbiamo leggere, cercare i libri adatti, fermarci a riflettere sulle cose che accadono.

I libri sono una fonte primaria di informazione, perchè ci consentono un approfondimento ragionato sulle questioni che ci interessano, e ci mettono a disposizione la competenza di chi ha studiato a fondo un certo problema e ne ha pubblicato i risultati, che sono stati poi vagliati e discussi dalla critica e dalla comunità scientifica internazionale. Limitiamo il tempo in rete e aumentiamo il tempo di lettura in sostanza.

La questione dell’informazione è più complessa, perchè si tende a cercare l’informazione “affine”, quella che convalida le nostre convinzioni, spesso sbagliate, e che si avvicina maggiormante ai nostri gusti politici. Il suggerimento classico è quello di selezionare non solo le fonti ritenute professionalmente attendibili, ma aquelle che esprimono pareri diversi dai nostri, per confrontarci e metterci in discussione, evitando bias culturali di cui ognuno di noi è vittima.

E’ un modo complesso di vivere la rete? No, è un modo ragionato e consapevole, perchè tra un pò saremo ridotti a non poter neanche leggere, per evidente incapacità di comprendere il senso di quello che leggiamo. E siamo già al 46,6 % in Italia di “analfabeti funzionali”.

Un saluto.

Noi, il popolo della rete, … sulla libertà di espressione sul web

Vogliamo affrontare un argomento complesso questo mese: quello della libertà di informazione. E che c’è di nuovo, mi direte voi? Ne parlano tutti da sempre, e, negli ultimi tempi, la discussione si è fatta accesa a causa dello stretto controllo politico che, sulla nostra informazione audiovisiva, effettua quel mondo che gira intorno alla politica, e che sfrutta questo controllo per creare consenso e movimento di opinione. Non voglio toccare oltre questo controverso tema della politica, poiché nel nostro paese qualsiasi discussione di tal genere deve necessariamente partire dal tema principe, da cui discende tutta intera l’anomalia italiana: quello del conflitto di interessi e della sua regolamentazione. Non voglio addentrarmi in questa analisi. Molti, più qualificati di me, lo fanno ogni giorno e a loro rimando chiunque voglia seriamente affrontare questo tema, fuori da schematismi e da aperte partigianerie (http://www.disinformazione.it/liberta_di_stampa.htm). Vorrei affrontare insieme a voi, lettori di VWM (che spero contribuirete a quesa analisi) il tema della libertà di espressione in rete.

Partiamo da una questione di fondo: oggi, fino a prova contraria, chiunque può partecipare ai dibattiti in rete ed esprimere la propria opinione. Da un lato, questo garantisce, per la prima volta nella storia, una completa libertà di espressione, dall’altro, apre la questione delle “regole” di comportamento, per chiunque voglia partecipare a questo agorà in rete. Mettiamo per un attimo da parte la discussione relativa alle questioni aperte dalla stessa possibilità di partecipare alla discussione in rete, a causa del controllo e della censura che operano sulla rete, in forma più o meno aperta, i regimi totalitari o a parziale libertà di espressione (assumendo di non ricadere, noi italiani, in quest’ultimo caso).

Concentriamoci sulle modalità di espressione: oggi noi possiamo scrivere in rete ciò che ci pare. Il controllo è demandato ai gestori dei siti e dei blog, ammesso che si prendano la briga, e la responsabilità, di quello che altri scrivono. Ciò dà in mano, a chiunque voglia esprimere la propria opinione, uno strumento potente di democrazia diretta. Possiamo raccontare le nostre storie, le nostre esperienze, parlare a favore o contro qualunque cosa, del nostro gatto o di nostra nonna, o del politico del paesello e dei suoi comportamenti. Gli strumenti messi a disposizione di tutti, dal nuovo paradigma del WEB 2.0, hanno aperto una breccia nel controllo diretto dell’informazione. Non a caso, i regimi meno attenti ai comportamenti democratici, non hanno perso tempo ad attivare contromisure. Nei paesi democratici la questione è più complessa. Perfino in Italia, dove pure la libertà di informazione ci pone in classifica al 73mo posto su 195 paesi e al 24mo su 25 tra i paesi dell’Europa occidentale (www.freedomhouse.org), non è così facile imporre dei limiti alla libertà di espressione in rete.

Negli ultimi tempi e in diverse occasioni, si è cercato, nel nostro paese, di infilare appositi articoli sulla regolamentazione della rete, nell’ambito di complessi articolati di legge riguardanti tutt’altra materia da sottoporre al parlamento, che limitassero la libertà di espressione, sperando di farli così passare sotto silenzio. Ancora in questi giorni (http://www.repubblica.it/static/speciale/2010/legge-intercettazioni/index.html?Ref=HREA-1) si sta cercando di infilare la norma che obbliga i blogger a pubblicare le smentite entro 48 ore, nell’ambito della normativa in discussione riguardante la regolamentazione delle intercettazioni telefoniche (Dis.legge N° 1611, art.28, comma a, che recita “…Per i siti informatici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono»…). Non sappiamo, ad oggi, se quest’ennesimo tentativo avrà successo, vista l’ampia opposizione nella società civile a tutti i livelli, ma resta il fatto che il potere politico non intende rinunciare a inglobare anche la rete nell’ambito dei media già facilmente controllabili o condizionabili.

Il mio parere è che prima o poi ci riuscirà, nonostante le lotte che il popolo della rete sta conducendo, finora con successo, per opporsi a questi tentativi. Le leve di potere in mano ad un governo e a un parlamento sono tali che qualunque decisione in merito, anche la più impopolare, ha notevole possibilità di essere approvata, salvo poi presentarla come una vittoria del diritto alla privacy, e contro l’anarchia mediatica della rete.

Tale possibilità esiste, purtroppo, anche in quanto c’è un punto debole sull’intero sistema di pubblicazione delle notizie in rete: tali notizie non sono né controllate né controllabili, essendo possibile smentirle solo a posteriori.  Nulla di male, si dirà, è esattamente questo il senso del dibattito democratico. Se tu pubblichi una bufala, puoi essere smentito, corretto, contraddetto. Sta qui il valore aggiunto della partecipazione, la vera innovazione del Web 2.0. Quello che noi pubblichiamo in rete è disponibile in pubblica piazza, chiunque può alimentare il dibattito e contribuire a determinare una versione veritiera dei fatti.

Ma cosa succede se si pubblica un insulto, una diffamazione, o semplicemente una notizia riservata, arrecando danno, economico, morale o di immagine, e questo prima ancora, e nonostante, le smentite o le rettifiche? Chi tutela il singolo, l’azienda, il brand, sottoposto a citazioni fraudolente o erronee, o anche solo violandone la riservatezza, in pubblica piazza?

Non credo sia accettabile pagare tale prezzo ad una libertà di espressione anarchica e senza regole. Così come non è accettabile che la libertà di espressione venga condizionata e controllata dal potere politico o economico.

Eccoci quindi di fronte ai due termini della questione: dove finisce la libertà di espressione e comincia la libertà del singolo? Come posso tutelare me stesso e, allo stesso tempo, la libertà degli altri a parlare di me o criticarmi? Come possiamo salvaguardare il diritto di critica ed il diritto alla privacy?

Discutendo su questo tema entreremmo nell’ambito della filosofia del diritto e del dibattito sociologico: non ne usciremmo facilmente. Dovremmo ricorrere alle teorie, alla storia, alle esperienze passate e alle discussioni filosofiche, e tra un decennio saremmo ancora a discutere.

Alcune regolamentazioni sono state introdotte negli ultimi anni, e la legge sulla privacy italiana è, sulla carta, (http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/testi/03196dl.htm)una delle migliori al mondo. Tuttavia, la questione è ben lontana dall’essere risolta e richiede una discussione e delle nuove iniziative, legate per lo più alla diffusione delle notizie in rete.

Io credo che dovremmo giocare d’anticipo, noi popolo della rete. Dovremmo dare un contributo in questo senso, prima che qualcuno, sfruttando tale debolezza di impianto, e tale carenza di regolamentazione, abbia gioco facile a far passare i limiti e i provvedimenti che, per scopi magari meno nobili, andrà proponendo in parlamento.

Credo che i tempi siano maturi per lavorare ad una sorta di autoregolamentazione, un “codice etico” da far sottoscrivere in forma volontaria, a quanti, blogger o operatori dell’informazione in rete, vogliano proporsi come protagonisti di tale forme di espressione e di informazione. La sottoscrizione di tale “codice etico” rappresenterebbe una sorta di “autocertificazione di lealtà” che, almeno moralmente, ci vincolerebbe al rispetto delle regole minime di base ed alla tutela degli altri. Non ci potrebbero essere, ovviamente, sanzioni dirette, non essendo questa autoregolamentazione una norma di legge da portare in tribunale (al di là ovviamente, di altre possibili forme di tutela legale), ma, come sappiamo, il valore più importante per chi opera in rete è la sua reputazione. Chi trasgredisse il codice etico, potrebbe essere a buon diritto, additato per comportamenti scorretti e informazione fraudolenta o illegittima. La perdita della reputazione e della propria credibilità rappresenterebbe un forte deterrente per quanti intendono operare in rete.

L’idea del codice di autoregolamentazione, non è nuova (http://punto-informatico.it/ 2784505/PI/Commenti/autodisciplina-sensibilita.aspx). E’ stato addirittura il governo a proporre una iniziativa del genere, coinvolgendo innanzitutto i grandi operatori dell’informazione in rete. Finora tale iniziativa non ha ancora portato risultati apprezzabili, anche perchè il punto di partenza, che vede una iniziativa di origine governativa, è in contrasto con il senso stesso che dovrebbe assumere tale codice di AUTO regolamentazione.  Inoltre, partire con la ricerca del consenso dei grandi operatori della rete, mette l’iniziativa su dei binari senza possibilità di sbocco. Forse un paio di tali operatori potrebbero aderire, per motivi di immagine, ma ci troveremmo di fronte alla classica montagna che partorisce il topolino.

Credo che una iniziativa dal basso, che dimostri come il popolo della rete tenga alla democrazia e alla libertà di opinione, ma nel rispetto dei diritti altrui, costituirebbe una dimostrazione tale di innovazione e di maturità democratica da convogliare su tale iniziativa l’attenzione e l’adesione di moltissimi operatori, e da indurre poi, i grandi operatori, a scendere a patti con la forza di trascinamento, e di consenso, di un tale movimento.

E’ un’utopia? E’ insufficiente? Certamente. Ma sarebbe un primo passo, in un paese civile e democratico come il nostro, che dimostrerebbe come la possibilità di esprimersi e di fare informazione in rete, dal basso, riguardi un movimento ormai maturo, che intende farsi carico di una reale esigenza di salvaguardia degli individui e del loro diritto alla privacy, pur nella valorizzazione e nell’espansione delle possibilità di espressione in rete e nell’ampliamento della democrazia partecipativa.