Serata stimolante quella di ieri sera al MIC-Imagin@rium, ospiti di Mexi Lane, e con la conduzione della serata da parte dall’inappuntabile Imparafacile Runo. Il tema, un classico delle serate di Imparafacile e del suo team (composto da Maryhola McMilla, Gea Demina, Lumieres, e Linteus Dench) la presentazione di tre libri, presentati da Mexi Lane, da Ileana Rae, e dal sottoscritto. Commovente il ricordo di Mexi Lane dell’ultimo libro di Alberto Bevilacqua, suo grande amico purtroppo scomparso, “Roma Califfa”. Interessante anche l’intervento di Ileana Rae, con la presentazione del libro di Philip Roth, “La macchia umana”.
Il libro che io ho scelto di presentare è stato “Il vero nome” di Vernor Vinge. Un libro completamente sconosciuto ai più, noto solo ai cultori di fantascienza o agli appassionati di storia dei Mondi Virtuali, come chi vi scrive. Il libro ha una doppia chiave di lettura, che lo rende attuale, e unico nel suo genere. Intanto, è il primo libro in cui è descritto compiutamente l’ingresso nel Metaverso da parte dei protagonisti, i quali, ovviamente, e dato il periodo storico del racconto, lo fanno utilizzando elettrodi fissati al capo, e non mediante simulazioni software, come poi successivamente si è avuto nel paradigma attuale dei Mondi Virtuali. Il libro è stato scritto, infatti, nel 1979, anche se poi fu pubblicato solo un paio di anni più tardi, ben prima quindi, non solo del tanto più noto “Snow Crash” di Neal Stephenson, ma anche prima di quel romanzo con cui ha fatto la sua comparsa il termine Cyberspazio, e cioè “La notte che bruciammo Chrome” del 1982, scritto dal padre del genere Cyberpunk, William Gibson, autore poi del più noto “Neuromante”, del 1984, un libro quest’ultimo che costituisce il manifesto di questo genere di letteratura.
Un libro quindi anticipatore di un fenomeno, che poi avrà le sue applicazioni pratiche negli anni successivi, e fino ai nostri giorni e a Second Life. Tra l’altro, poi, con l’introduzione di interfacce innovative, tipo Oculus Rift, si sta tornando al modello delle interfacce “fisiche”, con contatti mediante elettrodi e visori, ma utilizzando strumenti tecnici molto, ma molto più avanzati, di quelli esistenti al tempo in cui il libro di Vinge fu scritto.
La seconda caratteristica, davvero incredibile e anticipatrice, è la previsione che lo sviluppo della rete di macchine computerizzate (ricordo a tutti che, al tempo, Internet era ben lontana dall’essere inventata, si era ai primi tempi di Arpanet) avrebbe portato ad uno sviluppo molto rapido dell’Intelligenza Artificiale, e dei suoi effetti. Questa caratteristica del libro è stata colta in pieno dal “padre” dell’Intelligenza Artificiale, Marvin Minsky, il quale ha addirittura scritto una postfazione al libro, fornendoci spunti davvero inquietanti, per quanto riguarda il futuro del Cyberspazio.
Il vero tema su cui riflettere è, infatti, il dilemma che si pone oggi davanti agli scienziati: stiamo per assistere all’evoluzione di una specie “aliena”, sul nostro pianeta, costituita dall’Intelligenza Artificiale delle macchine? Stiamo per assistere all’evoluzione, sempre più rapida, di questa intelligenza “aliena” che, arrivata ad un punto di “singolarità”, come predetto da Kurzweil, di non ritorno, farà si che le macchine possano svilupparsi in maniera indipendente dall’uomo, imparando a imparare, a elaborare concetti, a simulare, in modo molto più efficace di noi, il pensiero umano? Non sembri un’ipotesi astratta, la realtà è molto, ma molto più vicina a questo traguardo, di quanto noi tutti possiamo immaginare.
Che il pericolo sia reale, lo si può dedurre dall’intervento di famosi scienziati, i quali proprio negli ultimi mesi, stanno lanciando un grido d’allarme. Addirittura Stephen Hawking si è espresso in tal senso. Altri scienziati invece, come Federico Faggin, l’inventore del microprocessore, pensano che una macchina non potrà mai imitare un uomo, nel modo di elaborare concetti astratti, e di imparare a “pensare”.
Il mio punto di vista è molto vicino alla prima corrente di pensiero, purtroppo. Credo che il pericolo sia reale, perché non c’è limite alle potenzialità che possono essere espresse da una rete di computer che copre ormai l’intero pianeta (e oltre…) Ma è proprio qui la chiave della soluzione, a mio parere. Dobbiamo porci il problema di creare dei “limiti”, simili alle tre leggi della Robotica, ipotizzate da Isaac Asimov. Bisogna progettare il nuovo internet con dei limiti intrinseci, progettati e imposti dall’uomo. Una specie di “assicurazione sulla vita” per la specie umana, senza della quale scenari imprevedibili si apriranno, molto prima di quanto pensiamo.
Mi piace chiudere questa riflessione tornando al libro di Vinge, e alla storia, fantastica per il momento, della protagonista femminile del libro, la hacker Erythrina, la “strega rossa”. Questa donna, attraverso la rete, e sentendosi vicina alla sua fine fisica, trasferisce la sua mente, la sua coscienza, all’interno della rete, andando incontro finalmente, all’immortalità immaginata da ogni cultura antica, e chiudendo in tal modo il cerchio dell’evoluzione umana. Con la scoperta della vita eterna, e forse del paradiso…