Il problema delle interfacce dei Mondi Virtuali

Tra le tante diatribe che aleggiano sul web, nel tentativo di dare una definizione al “Metaverso“, quello della questione interfacce ha assunto un certo interesse. La diatriba è alquanto inconsistente, e va inquadrata nei tentativi, velleitari, di dare una veste di concretezza cercando una esatta definizione di un termine, il “Metaverso” appunto, puramente di fantasia, nato dalla penna di uno scrittore. E’ una delle tante battaglie che non andrebbero mai combattute, perchè basate sul nulla, e che hanno contribuito a dare un’immagine poco chiara dei Mondi Virtuali, ostacolandone l’adozione presso aziende e altre organizzazioni. Lasciando da parte queste discussioni, vediamo però l’aspetto pratico della questione, perchè l’accesso ai sistemi virtuali è importante, dal punto di vista della usabilità e della facilità d’uso di queste piattaforme.

Evidentemente, l’aspetto “immersivo” è fondamentale nella User Experience dei Mondi Virtuali, è quello che contraddistingue questo tipo di esperienza rispetto al web tradizionale, ma da qui a definire un’unica modalità di accesso come legittima, rappresentata dai Visori VR come Meta Quest e Visual-Pro, ce ne corre. Le esperienze d’uso devo essere diversificate, a seconda del contesto e delle esigenze degli utilizzatori. Questo aspetto è fondamentale, perchè il problema che abbiamo oggi, per allargare l’utilizzo dei Mondi Virtuali, è quello di facilitarne l’uso, adeguandolo alle esigenze più diverse. Per decenni l’accesso ai Mondi Virtuali, per gioco o per attività progettuali, è avvenuto utilizzando i classici strumenti di schermo, tastiera e mouse, perchè erano i soli strumenti disponibili. L’introduzione di Oculus Rift nel 2016, da parte della Oculus VR, poi rilevata da Meta, è stato un passo in avanti notevole, subito messo in pratica dalla Linden Lab con la creazione del suo mondo virtuale Sansar nel 2017. E’ uno strumento questo che consente una completa immersività, ma prevede anche diverse controindicazioni.

I limiti di questo strumento sono non solo il costo, ancora non alla portata di tutti, ma anche le modalità di fruizione. Molte persone, infatti, non trovano affatto agevole indossare un Visore di VR per un tempo prolungato, alcuni soffrono anche del cosiddetto “Motion Sickness“, un disagio che può portare a disturbi di equilibrio e a sensazioni spiacevoli nell’uso. E’ un problema limitato a poche persone, che non riescono, per motivi diversi, ad abituarsi all’uso. E’ un problema da non trascurare. A parte il disagio fisico, è poi anche più difficile utilizzare strumenti di lavoro e di produttività indossando un Visore, è difficile usare prodotti software, fogli di lavoro, interrogazioni a Data Base, ecc. Ed è a volte spiacevole, o divertente, a seconda dei punti di vista, vedere gli avatar rappresentati da zombie a braccia roteanti che si muovono nell’ambiente virtuale.

In molti casi le modalità di lavoro non consentono di estraniarsi completamente dall’ambiente circostante, perchè si è in ufficio, o si è in un ambiente condiviso con scarse possibilità di movimento nell’ambiente fisico. E c’è poi la necessità di fare altre cose, mentre si sfruttano le possibilità dell’ambiente virtuale. Stando poi in un ambiente familiare l’estraniarsi completamente non è una sensazione desiderabile, e chi ha figli, o anche bambini piccoli, non desidera escluderli completamente dal proprio ambiente, perchè vedere un figlio che si avvicina per chiedere consigli per i compiti mentre si lavora, è un qualcosa di imprescindibile, per tutti in una famiglia.

Certamente esistono due modalità di fruizione in cui la completa immersività è utile e piacevole, o anche necessaria, e sono l’esperienza di gioco e quella di poter avere un ambiente di simulazione immersiva completa, magari per esercitazioni, o per la formazione all’uso di nuove apparecchiature, mezzi di locomozione, ambienti pericolosi, ecc. In sostanza, tutto dipende dall’uso che se ne vuole fare, e dal modo in cui si vuole vivere l’esperienza immersiva.

Un altro problema da gestire, per quanto riguarda l’accesso, è il tipo di device da utilizzare. L’uso di uno Smartphone non consente un’esperienza immersiva, ed è utile unicamente per gestire attività di servizio e di comunicazione all’interno del Mondo Virtuale, e questo per motivi più che evidenti, data la limitata potenza di elaborazione dei dispositivi e la limitata possibilità di renderizzare ambienti complessi. L’accesso in streaming da browser, invece, può essere una modalità di facile utilizzo, ed è simile al tradizionale accesso da PC per mondi virtuali semplici, in cui la renderizzazione è eseguita in modo efficiente sui server dell’azienda di gestione, magari su Cloud, come il recente esperimento di Second Life, o come altre piattaforme, come Spatial. Si sfrutta con questa modalità la potenza dei server, e non si penalizzano gli utenti che posseggono PC poco performanti per renderizzare sul client.

In conclusione, più viene data flessibilità nell’uso di piattaforme virtuali, più se ne facilita la diffusione e l’utilizzo. Non c’è un solo modo, un modo “migliore” per vivere gli ambienti virtuali, è necessario adeguarne l’accesso alle diverse esigenze e modalità d’uso, per lavoro o per uso ludico. Si tratta, ancora una volta, di privilegiare l’accesso “sociale” e di accessibilità dei Mondi Virtuali, e non lasciarsi fuorviare, in questa direzione, dall’ultimo ritrovato, dalla tecnologia fine a se stessa.

Un saluto.

L’intossicazione digitale

La digitalizzazione della nostra società avanza ormai ad un ritmo esponenziale, e tutte le nostre attività quotidiane si vanno a svolgere, sempre di più, sulla rete internet. Si tratti di utilizzare servizi, di acquistare prodotti, o di informarci su quello che avviene nel mondo, ormai tutto si svolge online, e tutti i processi sociali e delle diverse organizzazioni si sono spostati sulla rete, con un incremento enorme di efficienza e di disponibilità per tutti.

Questo enorme e veloce progresso è accompagnato anche da diversi aspetti negativi, che stanno impoverendo la nostra cultura, le nostre capacità di discernimento e di analisi dei fatti. E non parlo solo della disinformazione e del proliferare delle fake news, parlo proprio di abbassamento del livello culturale delle persone, come effetto perverso della superficialità e della frugalità con cui si accede alle informazioni e alla cultura in generale, utilizzando ormai prevalentemente la rete.

E’ del mese scorso la pubblicazione del rapporto OCSE sugli skills degli adulti, nei vari paesi del mondo, e il risultato dell’indagine è scoraggiante, addirittura disastroso per quanto riguarda l’Italia. Il rapporto è intitolato “Hanno gli adulti le competenze necessarie per vivere in un mondo che cambia?” (https://www.oecd.org/en/publications/do-adults-have-the-skills-they-need-to-thrive-in-a-changing-world_b263dc5d-en.html). Dal rapporto risulta che un quarto degli adulti non è in grado di comprendere un testo semplice, o anche di eseguire dei semplici calcoli. In Italia la percentuale è enormemente superiore, arrivando al 45,6 % di “low performers”. Al contrario, quelli che hanno un alto tasso di alfabetizzazione sono, nella media dei paesi OCSE, del 11,6 %, mentre in Italia sono solo il 5,4 %.

C’è da chiedersi, nel panorama disarmante complessivo, perchè l’Italia si colloca agli ultimi livelli della classifica. Questo dato negativo, purtroppo, da solo non basta a spiegare questa regressione, va anche letto insieme al basso tasso di laureati (20% in Italia, contro il 40% in Europa, la metà), alla stagnazione più che ventennale della produttività, al basso livello dei salari, con stipendi al limite della sopravvivenza, e alla carenza di strutture e di servizi nelle aree meno protette del paese e in vasti strati della popolazione. E poi ci si interroga sul perchè i giovani scappano all’estero, sul basso livello delle nascite, e sul progressivo invecchiamento della popolazione.

Mettiamo da parte i discorsi politici, non è questa la sede perchè meriterebbero una diversa attenzione, e concentriamoci sugli effetti perversi della rete. L’accesso a fonti di informazioni superficiali e poco attendibili pervade ormai la nostra quotidianità, e l’obiettivo delle grandi piattaforme social non è certo quello di promuovere una informazione chiara e affidabile, ma di prolungare la permanenza in rete, propinandoci pubblicità di ogni tipo, che consente loro di accumulare enormi guadagni, pagando, tra l’altro, pochissime tasse, basando le proprie sedi in paesi dalla tassazione molto favorevole. Un ulteriore elemento che fa riflettere è la decisione di Meta di questi ultimi giorni di non utilizzare più servizi di “fact checking“, ma di affidarsi alle comunità dei social per controllare le notizie. Se non fosse grave, ci sarebbe da morire dal ridere. Non che quei servizi funzionassero bene, intendiamoci, ma erano comunque un piccolo elemento di controllo, in una giugla incontrollata.

La responsabilità di informarsi da fonti attendibili, e di formarsi culturalmente, è in capo alle singole persone, ad ognuno di noi. Nessun meccanismo, o ente, o gruppo di studio, può proteggerci da noi stessi. Dobbiamo assumere un approccio responsabile che ci guidi nelle scelte, evitando un ulteriore aumento dell’avvelenamento da Internet.

La chiave di tutto è la Selezione e l’Approfondimento. Se ci interessa qualcosa, dobbiamo andare a leggere le fonti attendibili, imparare ad usare produttivamente i motori di ricerca, a selezionare le fonti che sono accreditate dalla comunità scientifica e dell’informazione più professionale. Il resto tocca a noi, e per esercitare la nostra responsabilità dobbiamo leggere, cercare i libri adatti, fermarci a riflettere sulle cose che accadono.

I libri sono una fonte primaria di informazione, perchè ci consentono un approfondimento ragionato sulle questioni che ci interessano, e ci mettono a disposizione la competenza di chi ha studiato a fondo un certo problema e ne ha pubblicato i risultati, che sono stati poi vagliati e discussi dalla critica e dalla comunità scientifica internazionale. Limitiamo il tempo in rete e aumentiamo il tempo di lettura in sostanza.

La questione dell’informazione è più complessa, perchè si tende a cercare l’informazione “affine”, quella che convalida le nostre convinzioni, spesso sbagliate, e che si avvicina maggiormante ai nostri gusti politici. Il suggerimento classico è quello di selezionare non solo le fonti ritenute professionalmente attendibili, ma aquelle che esprimono pareri diversi dai nostri, per confrontarci e metterci in discussione, evitando bias culturali di cui ognuno di noi è vittima.

E’ un modo complesso di vivere la rete? No, è un modo ragionato e consapevole, perchè tra un pò saremo ridotti a non poter neanche leggere, per evidente incapacità di comprendere il senso di quello che leggiamo. E siamo già al 46,6 % in Italia di “analfabeti funzionali”.

Un saluto.