Che la Sanità italiana non se la passi bene ultimamente, con il taglio degli investimenti (budget inferiore rispetto al PIL), con la carenza di medici, e con la fuga dei giovani verso la sanità privata o all’estero, è cosa nota. E sono anche note le grandi difficoltà degli operatori sanitari nell’affrontare situazioni sempre più difficili, fino al manifestarsi di forme inaccettabili di protesta, e persino di violenza, da parte degli utenti. Ma in questo quadro di difficoltà occorre anche guardare alle eccellenze che possediamo, in tutti i settori della nostra Sanità, e alle capacità di affrontare temi innovativi come quello degli ambienti virtuali, in cui è possibile erogare servizi e raggiungere quegli utenti che hanno maggiori difficoltà a spostarsi. L’esperienza che vogliamo mettere in evidenza, per il coraggio nell’affrontare temi così innovativi, riguarda il “Primo ospedale nel Metaverso“, realizzato dall’Azienda Ospedaliera di Cagliari.
Entrando nella struttura è possibile, tramite dei pannelli, prenotare una visita, pagare il ticket, entrare nel proprio “Fascicolo Sanitario Elettronico” o anche verificare i tempi di attesa del Pronto Soccorso. Al piano superiore è stato creato l’Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP), in cui si può anche parlare con un operatore umano, ma il Metaospedale è aperto 24 ore su 24. Il progetto è ancora ongoing, e altri spazi e servizi si stanno realizzando, come un reparto per il trattamento e le terapie del dolore e aule per la formazione dei medici.
E’ questa un’iniziativa lodevole e coraggiosa, perchè il rischio di questi progetti, se non vengono calati nella realtà territoriale, è quello che, dopo il primo impatto dettato dalla curiosità, resti inutilizzato dal grande pubblico. Occorreranno quindi delle campagne informative per diffondere l’esistenza di questa struttura, e spiegare chiaramente che il Metaospedale è utilizzabile tranquillamente da PC o anche da smartphone, e non è necessario avere un Visore di VR per accedere ai suoi servizi. E questo perchè l’utilizzo dei visori non è attualmente a portata della grande massa degli utenti della rete, per i costi o anche per scelta, quindi occorrerà spiegare che è possibile utilizzare tranquillamente la “Realtà Virtuale” anche da un browser o da un’App.
Complimenti comunque alla sanità di Cagliari, per questa sperimentazione d’avanguardia, e speriamo che il loro esempio venga seguito da molti altri enti pubblici, non solo nel settore della sanità.
Le piattaforme che implementano Mondi Virtuali sono tantissime, oltre le duecento, ognuna con proprie caratteristiche, regole e modalità di accesso. C’è poi tutto un mondo di piattaforme private, ad uso di aziende, enti o istituzioni, il cui accesso è riservato ai possessori, per scopi di business o di servizio. Vogliamo dare un elenco delle principali piattaforme virtuali, con il numero di utenti mensili, con l’indicazione dell’uso o meno di Visori di VR come possibilità di accesso e con l’indicazione se supportano o meno l’uso di criptovalute:
1. Fortnite – Utenti attivi mensili: Oltre 350 milioni – Supporta VR: No, Fortnite non supporta ufficialmente i visori VR. – Supporta criptovaluta e wallet: No, utilizza una valuta interna chiamata “V-Bucks”, ma non supporta criptovalute o wallet blockchain.
2. Roblox (piattaforma ibrida, con supporto VR limitato) – Utenti attivi mensili: Oltre 230 milioni – Supporta VR: Sì, ma il supporto è limitato e non è l’esperienza principale. – Supporta criptovaluta e wallet: No, Roblox utilizza la sua valuta interna chiamata “Robux”, ma non supporta criptovalute o wallet blockchain.
3. VRChat – Utenti attivi mensili: Oltre 40 milioni – Supporta VR: Sì, progettato per essere usato con visori VR, ma è anche accessibile senza VR. – Supporta criptovaluta e wallet: No, attualmente VRChat non supporta criptovalute o wallet blockchain. Per i pagamenti utilizza valuta reale.
4. Rec Room – Utenti attivi mensili: Circa 15-20 milioni – Supporta VR: Sì, ma è disponibile anche su dispositivi non VR (console, PC, mobile). – Supporta criptovaluta e wallet: No, Rec Room utilizza una valuta interna chiamata “Tokens”, ma non supporta criptovalute o wallet blockchain.
5. IMVU – Utenti attivi mensili: Circa 7 milioni – Supporta VR: No, IMVU non supporta ufficialmente i visori VR. – Supporta criptovaluta e wallet: No, utilizza una valuta interna chiamata “IMVU Credits”, ma non supporta criptovalute o wallet blockchain.
6. Spatial – Utenti attivi mensili: Oltre 1 milione – Supporta VR: Sì, progettato per visori VR, ma accessibile anche su desktop e dispositivi mobili. – Supporta criptovaluta e wallet: Sì, Spatial ha integrato il supporto per criptovalute e wallet per acquistare e scambiare NFT (non-fungible tokens), spesso legati all’arte digitale.
7. Second Life – Utenti attivi mensili: Circa 600.000-800.000 – Supporta VR: No, non supporta i visori VR. – Supporta criptovaluta e wallet: No, Second Life utilizza la sua valuta interna chiamata “Linden Dollars (L$)”, ma non supporta criptovalute o wallet blockchain.
8. The Sandbox – Utenti attivi mensili: Circa 500.000 – Supporta VR: Sì, ma è più comunemente usato su desktop. La VR è opzionale. – Supporta criptovaluta e wallet: Sì, utilizza criptovalute come SAND (un token ERC-20) e NFT per transazioni e proprietà virtuali.
9. Horizon Worlds (Meta) – Utenti attivi mensili: Circa 500.000 – Supporta VR: Sì, progettato per visori VR (Meta Quest). – Supporta criptovaluta e wallet: No, attualmente non supporta criptovalute o wallet blockchain. Usa come moneta interna i Meta Points.
10. Bigscreen – Utenti attivi mensili: Circa 500.000 – Supporta VR: Sì, principalmente per la condivisione di contenuti video e socializzazione in VR. – Supporta criptovaluta e wallet: No, Bigscreen non supporta criptovalute o wallet blockchain. Per i pagamenti utilizza valuta reale.
11. Sansar – Utenti attivi mensili: Diverse decine di migliaia – Supporta VR: Sì, progettato per la realtà virtuale, ma accessibile anche senza VR. – Supporta criptovaluta e wallet: Sì, Sansar ha integrato il supporto per criptovalute e wallet per comprare e vendere asset digitali e terreni virtuali.
12. Decentraland – Utenti attivi mensili: Circa 10.000-15.000 – Supporta VR: Sì, ma è più comunemente usato su desktop e browser. La VR è opzionale. – Supporta criptovaluta e wallet: Sì, Decentraland utilizza criptovalute come MANA (un token ERC-20) e NFT per le transazioni e le proprietà virtuali.
13. NeosVR – Utenti attivi mensili: Circa 10.000 – Supporta VR: Sì, principalmente per VR, con funzionalità avanzate di personalizzazione e creazione. – Supporta criptovaluta e wallet: Sì, NeosVR ha integrato criptovalute e wallet, supportando Neos Credits (NCR) e altre valute blockchain per transazioni all’interno del gioco.
14. Somnium Space – Utenti attivi mensili: Circa 10.000 – Supporta VR: Sì, progettato specificamente per VR, ma utilizzabile anche su PC senza visore. – Supporta criptovaluta e wallet: Sì, Somnium Space supporta pienamente le criptovalute e i wallet, in particolare attraverso la blockchain di Ethereum e il trading di terreni e asset virtuali tramite NFT.
15. Mozilla Hubs – Utenti attivi mensili: Migliaia – Supporta VR: Sì, accessibile con visori VR, ma funziona anche su desktop e mobile. – Supporta criptovaluta e wallet: No, attualmente non supporta criptovalute o wallet blockchain. Non c’è alcun sistema di pagamento o commercio interno alla piattaforma.
16. Nemesis – Utenti attivi mensili: Non pubblicamente disponibile – Supporta VR: Sì, progettato per visori VR. – Supporta criptovaluta e wallet: Sì, supporta criptovalute e wallet blockchain per transazioni all’interno del mondo virtuale.
Dopo la sbornia di notizie e previsioni fantasmagoriche sul cosiddetto “Metaverso” è tempo di utilizzare le esperienze migliori, tecnologiche e sociali, per indirizzare al meglio un utilizzo produttivo dei Mondi Virtuali. Sappiamo quali sono le potenzialità di queste piattaforme, e abbiamo visto negli anni e nei mesi scorsi centinaia di progetti e di esperienze di ogni tipo: lavorative, sociali, di svago, ecc. Ma occorre ora porsi nei panni di chi, incuriosito da tutto questo can can, voglia effettivamente capire come e perchè dovrebbe utilizzare un ambiente virtuale per le proprie attività.
Occorre spiegarlo dal punto di vista pratico, in termini di risultati effettivi ottenibili, e non solo perchè essere nel “Metaverso” è (era) di moda, e quindi, in ogni caso, era opportuno esserci. Era la “Paura di essere tagliati fuori”, la FOMA (fear of missing out), sulla base della quale, e spinti dai soliti furbastri che sfruttavano l’onda dell’hype, molte aziende hanno speso a volte anche milioni, senza ottenere risultati di rilievo, lasciando come macerie sedi aziendali vuote e non utilizzate sparse nei mondi virtuali.
A tutto questo si è unito l’arrembaggio dei crypto speculatori, fiondatisi sulle criptovalute e sugli NFT, che hanno alimentato un mercato altamente speculativo e a rischio, che ha lasciato parecchi investitori sul lastrico (vedi il fallimento dell’Exchange FTX). Naturalmente, la tecnologia della Blockchain è straordinaria, così come anche l’utilizzo degli NFT, per la protezione della proprietà intellettuale degli asset digitali, ma la bolla speculativa ne ha pesantemente distorto il significato e nuociuto gravemente alla reputazione della tecnologia di base. E purtroppo c’è stato un battage pubblicitario, interessato e fuorviante, per associare il “Metaverso”, nel pieno del boom, a queste esperienze speculative, danneggiandone gravemente l’immagine.
Superata questa fase (si spera), torniamo ai motivi primari per cui l’utilizzo delle piattaforme virtuali può dare un grande contributo alla gestione delle attività aziendali, o anche per scopi culturali, o istituzionali, o di svago. Discutiamo di cose concrete, facilmente comprensibili e sperimentabili in brevissimo tempo. Vorrei partire qui da tre esempi, in modo da poter misurare obiettivi e risultati, in modo pragmatico, e parlando di processi.
Caso 1 – DIDATTICA: è forse il caso d’uso più sperimentato e diffuso, versatile e adatto ad ogni tipo di esigenza e di utenza, anche scolastica, dai bambini della primaria alle Università. La possibilità di ritrovarsi tutti insieme in un’aula virtuale ha dei vantaggi enormi, in termini di interazione e di socializzazione, inoltre, il rapporto con l’insegnante è diretto e bilaterale, e non si è legati alla geografia o all’ambiente fisico in cui ci si trova.
La costruzione di un’aula virtuale è molto sermplice, anche se può essere valorizzata a piacere con arredamenti e strumenti di lavoro diversi, come schermi, interfacce web, connessione ai repository su cloud, e via dicendo. Ci sono Mondi Virtuali, come “Spatial” in cui addirittura è possibile utilizzare gratuitamente ambienti precostituiti, senza impegno di building o investimenti. E’ questo un caso di studio facilmente utilizzabile, alla portata di tutti.
Caso 2 – AMBIENTE DI LAVORO: l’utilizzo dello smart working, enormemente diffusosi con la pandemia, ci ha abituato a lavorare da remoto, in ambienti di collaboration. I risultati, sia per i lavoratori, in termini di qualità della vita, sia per le aziende che hanno enormemente risotto i costi per le sedi e gli uffici, sono stati notevoli, ed è una realtà da cui non si torna più indietro. Il vantaggio di un ambiente virtuale, rispetto a quello classico di collaboration online, è quello della presenza e dell’interazione continua, fino a ricreare uffici virtuali in cui, indipendentemente dal luogo fisico in cui si trovano i lavoratori, si vive in una comunità, e si collabora fianco a fianco con i colleghi e i responsabili aziendali.
Dal punto di vista della Cybersecurity un’azienda può anche creare una propria piattaforma virtuale privata, adeguatamente segmentata e protetta, a cui i dipendenti possano accedere con la VPN aziendale, previo autenticazione ed autorizzazione. E’ uno sviluppo che potrà avere dimensioni enormi in futuro, e consentirà di superare ampiamente le difficoltà della distanza, dei trasporti, e dei tempi di lavoro.
CASO 3 – SIMULAZIONI: è possibile creare ogni tipo di ambiente, per gli scopi più diversi. Supponiamo, ad esempio, che l’amministrazione comunale voglia ristrutturare una importante piazza del comune, per renderla più vivibile, senza auto, e con maggiori servizi e possibilità di socializzazione per i residenti. E’ possibile creare un digital tween della piazza, in ambiente virtuale, e coinvolgere gli abitanti e i commercianti del quartiere a dare al progetto presentato dall’amministrazione, il proprio contributo di idee, con suggerimenti e critiche. La simulazione può essere poi gradualmente migliorata, tenendo conto anche delle risorse economiche stanziate per il progetto, arrivando ad una soluzione ottimale e condivisa dalla maggior parte dei residenti.
Con questi soli tre esempi potremmo fare proposte concrete ad interlocutori aziendali o istituzionali, per avviare dei progetti pilota intorno a cui sviluppare ulteriormente la presenza dell’azienda o dell’istituzione nei Mondi Virtuali, mano a mano che i vantaggi, ed i risparmi, saranno sempre più evidenti e misurabili. Passi graduali, concreti, ma con enormi prospettive di sviluppo. Naturalmente gli esempi potrebbero essere molti altri, ma qui occorre partire dalle basi, da cose concrete e rapidamente realizzabili, e che, soprattutto, diano risultati oggettivi e misurabili.
Sono quasi due anni che non sentiamo parlare d’altro, tutti i giorni, che di Intelligenza Artificiale (AI). La causa scatenante è stata la pubblicazione in rete del Chet-Bot Chat-GPT di Open AI, (https://openai.com/) una chat “intelligente” che dà risposte a qualsiasi nostra domanda, simulando l’interazione con un essere umano “esperto”, su qualsiasi problematica. Naturalmente, le risposte che fornisce Chat-GPT sono basate sull’enorme mole di materiale raccolto in rete, dalle pubblicazioni scientifiche ai libri di testo, agli articoli di giornale e persino dai social network.
Sulla base di queste informazioni, aggiornate a fine 2023, è stata addestrata con la supervisione di esseri umani, per eliminare eventuali schemi di ragionamento derivanti da preconcetti o errori dovuti ad errata interpretazione. Il risultato è quello che vediamo, nulla di “intelligente” ma estremamente efficace. E abbiamo anche imparato che a volte la chat ci dà risposte errate, quando non ha abbastanza indicazioni su come formulare la risposta, semplicemente inventa le cose e “riempie i buchi”, a volte a casaccio. Quindi, da un lato occorre sempre verificare gli output ottenuti con fonti attendibili, dall’altro bisogna imparare a formulare delle richieste molto precise, per delimitare al massimo il margine di errore.
E’ nata così la professione del “Prompt Engineer“, l’abilità tecnica di formulare richieste molto precise, per ottenere risposte affidabili. I cosiddetti “Prompt”. Compilare un prompt è diventata una caratteristica indispensabile per chi vuole utilizzare una AI per lavoro, per studio, per attività professionali, e questa nuova scienza ha già iniziato ad essere strutturata, con precisi “Framework” di riferimento, su come formulare le richieste, come comporre i prompt. Le modalità possono variare da semplici frasi in linguaggio naturale, come le domande che tutti noi abbiamo fatto a Chat-GPT in questi mesi, a dei modelli schematici precisi, per organizzare le richieste in un modo, per così dire, “scientifico”.
Ad esempio, utilizzando Midjourney o Copilot, applicazioni AI di elaborazione di immagini, possiamo dire semplicemente:
“Dammi una immagine di un cavaliere crociato di fronte ad un drago in una foresta”.
E l’immagine che otteniamo è la seguente (da Copilot di Microsoft):
Oppure fornire come input una immagine di partenza da elaborare, a Midjourney, come la seguente:
accompagnandola con precise istruzioni su cosa vogliamo che produca, con tanto di istruzioni tecniche, di parole chiave e anche di descrizioni in linguaggio naturale, con indicazioni molto precise su cosa si vuole ottenere:
“donna bionda, volto serio illuminato dal sole che filtra dall’alto, sguardo profondo, alta definizione, 8K, sfondo scuro –ar 4:3 –q 5″.
Il risultato può essere il seguente:
Sono esempi semplici, basati su chat e immagini, ma per poter utilizzare le applicazioni di AI in modo professionale è indispensabile utilizzare i Framework che dicevamo prima, perchè il risultato che vogliamo ottenere serve per il nostro lavoro, di sviluppatori software, o di medici, o di giuristi.
Si sono così sviluppati due modelli di Framework, uno relativo a richieste abbastanza semplici, denominato Modello RTF, l’altro invece denominato Modello CREATE, che serve per richieste o obiettivi molto complessi, e richiede quindi una molteplicità di indicazioni precise su tutti gli aspetti del lavoro da fare.
Il Modello RTF è l’acronimo di Role (l’obiettivo dettagliato che vogliamo ottenere e il ruolo di chi lo richiede), Task (descrizione dettagliata del lavoro da fare), e Format (il formato con cui presentarci il risultato del lavoro.
Ad esempio posso formulare la seguente rischiesta a Chat-GPT:
“Sono un programmatore Python e ho bisogno di un programma che calcoli il valore minimo tra due numeri interi da acquisire in input. Il risultato dev’essere il codice Python eseguibile.”
La richiesta è precisa e descrive esattamente il risultato che voglio ottenere. Infatti, Chat-GPT mi fornisce la risposta adeguata:
“inizio”
Certo! Ecco un semplice programma in Python che calcola il valore minimo tra due numeri interi inseriti dall’utente:
——————————————————————————————————-
# Funzione per trovare il minimo tra due numeri
def trova_minimo(num1, num2):
if num1 < num2:
return num1
else:
return num2
# Acquisizione input dall'utente
numero1 = int(input("Inserisci il primo numero intero: "))
numero2 = int(input("Inserisci il secondo numero intero: "))
# Calcolo del minimo
minimo = trova_minimo(numero1, numero2)
# Stampa del risultato
print(f"Il valore minimo tra {numero1} e {numero2} è: {minimo}")
----------------------------------------------------------------------------
Puoi copiare e incollare questo codice in un file Python (.py) ed eseguirlo. Il programma richiederà all’utente di inserire due numeri interi e poi stamperà il valore minimo tra di essi.
“fine”
Il Modello CREATE invece, è l’acronimo di Character (il ruolo che assumiamo nel creare il risultato), Request (l’esposizione dettagliata della richiesta che facciamo), Examples (esempi precisi del risultato che vogliamo ottenere), Adjustment (i vincoli di cui tener conto nel creare il risultato), Type of output (descrizione precisa del tipo di risultato che vogliamo), ed Evaluation (indicazioine di precisi indicatori con cui misurare la qualità del risultato ottenuto). Richiederebbe molto tempo darvi un esempio preciso, ma questo è il lavoro da fare.
Come si vede, per poter ottenere risultati di qualità occorre lavorare molto sulle indicazioni da fornire, ci penserà poi l’AI ad utilizzare tali indicazioni per creare la risposta più adeguata, avendo anche ottenuto da noi opportuni parametri per valutare il risultato, prima di fornirlo.
Questa del Prompt Engineer è quindi una figura molto importante, per le aziende, gli enti e gli studi professionali. Altre professioni riguardano poi l’abilità di creare le AI con gli algoritmi e le strategie di ricerca più adeguate agli scopi che vogliamo ottenere, o anche i controlli di qualità da inserire nelle fasi di addestramento delle AI, e così via. Sono queste professioni necessarie alle aziende che producono i sistemi di AI. Insomma, sono tanti, e molto diversificati, i nuovi “mestieri” che stanno nascendo. Ed altri ne nasceranno, perchè l’AI sta dando un’accelerata straordinaria a tutta la nostra civiltà, alla tecnologia e all’industria.
Abbiamo già parlato, in altri articoli su questo Magazine, anche dei rischi connessi all’utilizzo delle applicazioni di AI, in particolare nelle infrastrutture critiche e per gli utilizzi militari, e non a caso è appena entrato in vigore l’AI-Act dell’Unione Europea, e anche altri paesi, come gli USA, si sono dotati di analoghi strumenti di controllo. Ma la strada è aperta per un utilizzo sempre più esteso di queste applicazioni e gestirne i rischi è compito dei governi e degli enti regolatori, e le opportunità di crescita che stiamo creando sono davvero enormi.
Qualche giorno fa, un banale bug contenuto in un aggiornamento del software di un’azienda di Cybersecurity, la CrowdStrike, fornitrice di Microsoft, ha messo in ginocchio i sistemi Windows di tutto il mondo, bloccando i servizi di applicazioni critiche per un periodo da qualche ora a qualche giorno, e ancora oggi non tutti i sistemi colpiti sono stati ripristinati. NON si è trattato (questa volta) di un attacco Cyber, ma di un errore propagatosi a catena, a partire dall’Australia e poi via via in tutto il mondo.
Evidentemente molti errori sono stati commessi, indipendentemente dall’errore commesso all’origine dall’azienda nel diffondere l’aggiornamento. I sistemi critici non dovrebbero MAI rendere automatici gli aggiornamenti, quanto piuttosto testarli prima in ambiente di test, e solo dopo averne verificato gli impatti passarli nei sistemi di produzione. Questo non è stato fatto a quanto sembra, da quei sistemi che sono stati colpiti. I possibili effetti nefasti sono sempre possibili, come si è visto. Spero che si impari dai danni subiti.
Ma incidenti del genere si verificheranno ancora, inevitabilmente. E sempre più perfezionati attacchi verranno portati alle infrastrutture critiche, in tutto il mondo, a cominciare dagli anelli deboli della catenna della supply-chain, le piccole e medie aziende. E non a caso è stata emanata a gennaio 2023 dall’Unione Europea la nuova direttiva denominata NIS2, che dovrà essere recepita entro il 17 ottobre 2024 dai singoli stati membri, che eleva gli standard di Cybersecurity e mira a proteggere le infrastrutture critiche. (https://www.cybersecurity360.it/soluzioni-aziendali/nis-2-gli-adempimenti-alla-nuova-direttiva-ecco-tutte-le-novita/)
Tuttavia, il problema di fondo è la nostra completa dipendenza dalla rete e dai sistemi software, che gestiscono ormai completamente la nostra vita quotidiana. Dobbiamo avere noi tutti, dai singoli individui alle aziende, consapevolezza di questa dipendenza quasi totale, ed adottare procedure che possano consentirci di continuare ad operare in caso di attacchi o, come in questo caso, di malfunzionamenti estesi dei sistemi. Le aziende devono gestire sempre meglio il tema della “Business Continuity“, la gestione cioè dei sistemi in caso di incidente, con tutta una serie di procedure parallele per assicurare il funzionamento dei servizi critici. E questo include anche una politica molto attenta dei Backup, che hanno salvato molte aziende dagli attacchi Ransomware (la cifratura dei dati ad opera di hacker per chiedere poi un riscatto per la decifratura). Occorre avere dei sistemi paralleli, anche manuali, capaci di consentire la ripresa rapida dell’operatività, limitando al massimo i blocchi ed i danni conseguenti, alle imprese e ai cittadini. Perchè molti sistemi gestiscono ormai non solo i servizi, ma anche la salute e la vita delle persone.
Utilizzare il Cloud è stata poi una rivoluzione epocale, si ottimizza la gestione delle risorse, si centrallizza la sicurezza e si riducono i costi, ma ci rende dipendenti da tre o quattro aziende (Amazon, Microsoft, Oracle, ecc.), i cui bilanci superano in valore quelli di molte nazioni al mondo. Non voglio discutere qui i problemi di privacy e di protezione della stessa, è un argomento molto complesso, ma almeno dobbiamo sapere che questa è la situazione.
Cosa possono fare i singoli cittadini? Proteggere i propri dati salvandoli e tenendoli aggiornati offline, col classico disco esterno su cui farne copia, scollegandolo dalla rete ogni volta, dopo aver effettuato il backup. E avere consapevolezza nei comportamenti in rete, con attenzione alla sicurezza dei propri dati.
La tecnologia e l’utilizzo della rete ci ha fatto compiere grandi passi in avanti, cose che facciamo oggi non erano neanche immaginabili quelche decennio fa, ma questo ha comportato l’aumento esponenziale della Complessità dei sistemi, e con l’aumento della complessità sono aumentate le esposizioni e i rischi da gestire. Un grande aiuto ci sta arrivando dall’uso sempre più esteso di Intelligenze Artificiali anche in questi campi, con tutti i limiti ed i controlli imposti dal recente AI-Act europeo, ma dobbiamo essere consapevoli, anche come semplici cittadini, che la nostra dipendenza va mitigata con adeguate misure di sicurezza e alternative offline per i casi di emergenza.
Il gruppo dei “Fuori di Testo” ha una genesi di lunga data, è nato infatti nel 2011, con l’idea del divertimento tra amici, soprattutto, e basato su un’esperienza di teatro in Second Life. Il gruppo realizzò a quel tempo diverse serate, con grande apprezzamento della quindicina di membri e del pubblico intervenuto. E così, a giugno di quest’anno, rinasce come la fenice, con un nuovo gruppo di entusiasti, una ventina, alcuni dei quali erano già presenti nel team originario. L’animatrice e la coordinatrice del gruppo, la “dittatrice assoluta” come scherzosamente la definiscono i membri del team, è, fin dalle sue origini, Liza Tedeschi (Lamauvaisereputation), un vulcano continuo di idee e iniziative, che già anima le serate del club “The Trax”, insieme al suo compagno DJ Eric Reed.
L’ambito di attività del gruppo riguarda soprattutto le rappresentazioni di sceneggiature preparate dal gruppo, o anche contest fotografici per ricercare le più originali forme di comunicazione visiva. E ogni membro del gruppo, molto variegato, ha una sua parte ed un suo ruolo da gestire, sia nelle attività preparatorie che durante le rappresentazioni. Tenere insieme un gruppo numeroso, e coordinarne le attività, è un’impresa non da poco che vede continuamente impegnata la nostra Liza. C’è da dire che l’entusiasmo e l’impegno dei componenti dei “Fuori di Testo” è davvero notevole, e dovrebbe rendere agevole la navigazione del gruppo, superando uno dei punti deboli di qualsiasi progetto in Second Life: la collaborazione e l’intesa tra i partecipanti.
Una prima serata a tema è già programmata per il 24 di luglio prossimo, e avrà come tema il turismo, con la denominazione di “Italiani con la valigia“. Sono già pronte le scenografie per la rappresentazione, ed una playlist musicale con brani famosi aventi come tema il turismo e i posti più interessanti nel mondo. Ad ogni membro del gruppo sono state assegnate le parti, e tutti sono intenti a studiarsi la loro, per una serata che si preannuncia davvero straordinaria.
Le riunioni del gruppo avvengono nella land de “La Civetta” dove i voice sono sempre aperti, e, se non ci sono riunioni in corso, chiunque è ben accetto per una chiacchierata tra amici, o per proporre idee per rappresentazioni da programmare. Li seguiremo con attenzione, e con grande piacere.
L’hype creato intorno a questo termine, a partire dalla famosa presentazione di Mark Zuckerberg del 28 ottobre 2021, si è lentamente affievolito, lasciando però un notevole interesse verso le piattaforme virtuali, ma lasciandoci anche la mela avvelenata dell’utilizzo di questo termine improprio. Purtroppo, presi dall’entusiasmo, e con l’idea di sfruttare questo hype, anche i più avveduti critici ed esperti di tecnologia sono stati contagiati, persino quanti delle piattaforme virtuali avevano un’ampia esperienza. Si è carcato di cavalcare l’onda della notorietà di questo termine, ma si è fatto un danno notevole alla realtà delle cose, per quanto riguarda l’immagine di queste piattaforme.
Durante questo periodo di hype il termine è stato usato da chiunque e in modo approssimativo, dai crypto-speculatori, ai venditori di fuffa, dagli “influencer” un tanto al chilo a poco informati pseudo giornalisti, e chi più ne ha più ne metta. Si è venduto il nulla, e si è parlato di cose che non esistono, o, per quelle che esistono, senza capirle.
Perchè sono così radicale nel condannare l’uso di questo termine? Perchè ha fatto molti danni, e per diversi motivi, al futuro sviluppo dei Mondi Virtuali. Il rovescio della medaglia però, e va ampiamente riconosciuto, è che questo termine immaginifico, così come la presentazione fantasmagorica di Mark Zuckerber con Avatar e ologrammi danzanti negli uffici, ha risvegliato l’interesse del grande pubblico verso queste piattaforme, cosa che non si vedeva più dal lontano 2007, anno di boom di Second Life.
Dato questo riconoscimento, vediamo ora i danni a cui dobbiamo porre rimedio, per rendere più concreto e significativo l’impatto dei Mondi Virtuali sulla vita delle persone e sul business delle aziende.
Il “Metaverso” non esiste. Se pensiamo a quello descritto da Neil Stephenson in Snow Crash, o anche all’idea che molta gente si è fatta, non esiste alcun ambiente virtuale unico e utilizzabile da tutti. Oggi esistono una molteplicità (più di duecento) di piattaforme di gestione dei Mondi Virtuali, ognuna con i suoi obiettivi, la sua governance e le sue regole. Per entrare in uno di questi Mondi Virtuali occorre avere un account specifico, diverso per ogni piattaforma, e i manufatti che vengono realizzati in-world non sono portabili dall’una all’altra.
Stante le diverse piattaforme, non c’è alcuna possibilità di spostarsi dall’una all’altra, non esistono “teleport”, non esiste un account unico, non esiste ancora una “Identità” univoca dell’Avatar, nonostante la nascita del “Metaverse Standards Forum“, una organizzazione internazionale creata con lo scopo di favorire una collaborazione, abbia alimentato qualche speranza. Ed il futuro, molto probabilmente, continuerà ad essere questo, anche se una standardizzazione, almeno dei protocolli e degli standard (per la portabilità degli oggetti ad esempio), potrebbe favorire di molto la crescita di questo mercato. La concorrenza, e le rendite di posizione acquisite dalle piattaforme più diffuse, rendono molto difficile un futuro di apertura e di interoperabilità.
Parlare di un qualcosa che non esiste rende vago e confuso il panorama del reale mercato, delle reali aziende che lavorano in questo settore. Fare di tutt’erba un fascio non aiuta a vedere con oggettività quale sia il reale stato del mercato. Si è portati a non scendere nel dettaglio delle singole piattaforme, per analizzarne pregi e difetti, e scegliere quale utilizzare, e quali caratteristiche ricercare per i propri progetti.
Non avere idea delle diverse offering non aiuta neanche gli investitori, non aiuta chi deve decidere di spendere un budget per realizzare nuovi progetti, non rende “normale” un mercato che invece è molto concreto, pieno di prospettive e molto vivace. Non si rende giustizia alle aziende che ci lavorano. Insomma, un blog indistinto che offusca le reali potenzialità di questo mercato, e che non ne dà una immagine realistica.
Parlare di un indistinto “Metaverso” non fa vedere neanche quello che c’è dietro dal punto di vista delle architetture. Non rende evidente, ad esempio, la differenza tra piattaforme con architettura decentralizzata e quelle che invece si basano su una gestione e una governance univoca. Non mette in evidenza pregi e difetti di queste architetture. E soprattutto, non consente di avere chiara e trasparente la differenza delle policies di sicurezza e di privacy.
Dare l’idea di un “Metaverso” univoco è in sostanza un ostacolo allo sviluppo di questo mercato, e più si alimenta la confusione, più si scoraggiano gli investitori. Questo nuovo mercato ha invece bisogno di una visione di lungo termine, che renda accettabile il rischio dei nuovi investimenti, e che consenta la gestione di business plan realistici. Abbiamo detto che le normative non sono ancora completamente adeguate a questi nuovi sviluppi delle piattaforme virtuali, se poi si alimenta anche l’incertezza, o addirittura, se si confondono i Mondi Virtuali con quelli che sono i terreni delle scorribande dei crypto speculatori, allora il rischio è quello che, dissolto l’hype, resti poco di concreto su cui continuare a sviluppare queste piattaforme.
Il futuro dei Mondi Virtuali ha bisogno di avere un quadro più definito, con normative maggiormente adeguate, e con una fiducia crescente da parte degli investitori e delle aziende. E’ tempo quindi di lasciare da parte le fantasie e di parlare di progetti concreti, chiamando le cose con il proprio nome, e lasciando il termine “Metaverso” al suo posto, tra le fantasie letterarie di un autore di successo. E’ tempo di pensare ai progetti e alle applicazioni concrete, dando spazio alle tante aziende e ai tanti professionisti seri che lavorano in questo settore, scaricando il carro dai cryptospeculatori e dai venditori di fumo, che migreranno verso altri lidi lasciando spazio ai progetti e alle realizzazioni concrete.
Un saluto.
Nota: le immagini sono create con l’AI di MS-Copilot.
Quante storie e quante fantasie si sono sviluppate, sia nei Mondi Virtuali che fuori, sul personaggio dell’Avatar… Certo, è il nostro alter ego virtuale, la nostra interfaccia nei Mondi Virtuali (e non solo), il mezzo di interazione verso gli altri alter ego virtuali, di altri utenti, amici, conoscenti, protagonisti dei vari “Metaversi“, ma è anche molto di più.
Proviamo a discuterne meglio, più in dettaglio e più da vicino. L’Avatar è l’elemento che contraddistingue l’esperienza immersiva, ed è attraverso di esso che possiamo vivere una sensazione di immersività in un ambiente virtuale. Non è una semplice interfaccia, è il modo in cui ci presentiamo agli altri nei Mondi Virtuali. E questa considerazione è talmente vera, che molti passano parte del loro tempo in-world a curare il loro Avatar, il “se stessi” virtuale. Ne definiscono la forma, le caratteristiche, il modo di vestire, i capelli, gli accessori, ecc. Nè più ne meno di quello che facciamo col nostro corpo fisico, nel presentarci agli altri nella vita reale di tutti i giorni. Il modo in cui definiamo il nostro Avatar, il noi stessi virtuale, esprime molto del nostro sentire rispetto alle esperienze che viviamo nei Mondi Virtuali. Ognuno ovviamente ha i suoi gusti, anche in relazione agli scopi e ai progetti che porta avanti nell’ambiante virtuale: dal lavoro ai giochi, dalle relazioni sociali all’education, e agli eventi di ogni genere. E per tale motivo, ci troviamo davanti a diverse tipologie di Avatar, da quelli realistici (fino ai “digital tweens“) a quelli fantasiosi e dalle forme più improbabili. La “forma” dell’Avatar fa parte del modo di vivere la presenza di ognuno nei Mondi Virtuali.
Avatar molto realistici in Second Life.
Un discorso particolare riguarda quanti utilizzano i Mondi Virtuali per motivi di lavoro, per svolgere meetings, per lavorare in gruppo, per sviluppare progetti, per fare formazione ecc. Che forma assume l’Avatar in questi casi? Anche qui valgono naturalmente i gusti personali, ma una cosa è certa: l’esperienza immersiva è sempre legata all’Avatar. E allora che senso ha usare un Mondo Virtuale per lavorarci se poi usiamo l’Avatar come “segnaposto”, piuttosto che dargli la forma corrispondente ai nostri gusti? Usare un Mondo Virtuale vuol dire fare parte di una esperienza di gruppo, di interazione con gli altri; vuol dire creare un “ambiente” comune, in cui incontrarsi e interagire, cosa che è impossibile fare con un tool di videoconferenza o di collaboration, come MS Teams o Zoom o Google Meet. Usare un Mondo Virtuale piuttosto che uno di questi tool ha senso se vogliamo vivere l’esperienza immersiva, e per fare questo l’Avatar è indispensabile, sempre secondo i propri gusti e le nostre fantasie. Ricordiamo tutti il bel video di presentazione del “Metaverso“, con Mark Zucherberg che interagiva con un team di collaboratori rappresentato in-world da avatar di diversa forma e caratteristiche. Un esempio molto calzante.
La presentazione di Mark Zuckerberg del 28 ottobre 2021.
Ho sempre scherzato sul fatto che alcune piattaforme, come la vecchia AlterSpace, e come l’attuale Horizon di Meta, utilizzassero gli Avatar senza la parte inferiore del corpo. Certo è una scelta tecnica, perchè elimina parte dei dati necessari a identificare l’Avatar e rende più semplice il rendering dell’immagine, fa guadagnare spazio di archiviazione e tempi di visualizzazione (lag), ma è una scelta penalizzante per quanto riguarda la creazione dell’esperienza immersiva, che poi è esattamente lo scopo principale per cui vengono utilizzati i Mondi Virtuali. Vale naturalmente la regola dell’ “ognuno faccia come gli pare” per la costruzione dell’Avatar, ma dobbiamo rilevare che usare un “segnaposto” per vivere i Mondi Virtuali è una contraddizione in termini.
Un avatar molto caratteristico in Second Life.
In fondo, la possibilità di creare un Avatar suggestivo, realizzato secondo le nostre fantasie, è uno dei motivi principali per cui si frequenta un Mondo Virtuale, è un modo per far viaggiare la fantasia, l’immaginario di gruppo con i vari Giochi di Ruolo, le esperienze sociali che si vivono in comunità. Questo rende la “forma” dell’Avatar così speciale, almeno per quelli che sanno cosa voglia dire “vivere” in un Mondo Virtuale, per quei pochi minuti, o per quelle poche ore che ci sono concesse dallo stress della vita quotidiana, e dagli impegni di lavoro. L’Avatar rappresenta tutto questo, e molto altro, dal punto di vista ludico o di lavoro che sia.
Sul ruolo e sul significato che attribuiamo al nostro Avatar nei Mondi Virtuali sono state scritte migliaia di pagine, e di questo nostro alter ego se ne discute ogni giorno, sia in rete sia su ben documentati saggi e lavori di ricerca in giro per il mondo. Molte sono le interpretazioni che se ne danno, alcune comuni a tutti, altre davvero fantasiose e immaginarie.
E’ del tutto evidente che l’Avatar non è solamente un logo o una interfaccia digitale che utilizziamo in rete, non nei Mondi Virtuali, almeno. Perchè un Mondo Virtuale non è un sito web, è un “luogo” vero, in cui la figura dell’Avatar è indispensabile per interagire con gli altri, e rappresenta una personificazione di noi stessi, non importa che sia del tutto digitale (come del resto lo è un Mondo Virtuale), è un personaggio con cui ci identifichiamo pienamente nel nostro vagabondare in-world.
Il modo in cui un Avatar viene realizzato varia moltissimo, a seconda dei desideri e degli scopi che il suo “utente” vuole realizzare: dalle figure realistiche, alle creature fantastiche, e fino ai veri e propri “digital tweens”, copie fedeli di noi stessi. E’ una figura che rappresenta gusti e scopi personali, ed è creata seguendo l’idea di se stessi che si intende dare nei Mondi Virtuali. E’ una espressione della modalità con cui vogliamo presentarci in un Mondo Virtuale, che sia del tutto anonima, o che sia un nostro corrispondente alter ego digitale, con tanto di tag identificativa, per ragioni di business o di riconoscibilità professionale.
Ogni forma ed ogni modo di presentarsi è legittima, avendo unicamente la regola del corretto comportamento e del rispetto delle leggi. Nei Mondi Virtuali, infatti, valgono tutte le leggi del mondo fisico, secondo le diverse giurisdizioni nazionali e le regole e le convenzioni internazionali. L’anonimato è molto difficile da mantenere, a meno di non usare precauzioni e metodologie che consentano la non identificazione assoluta dell’utente, cosa possibile e a volte necessaria, per difendere l’incolumità stessa della persona fisica (pensiamo ai regimi non liberali, ai giornalisti sotto copertura, alle forze dell’ordine in servizio, ecc.).
Tante sono le discussioni in corso tra gli esperti della rete e della cybersecurity su questi temi, ma fondamentale è il rispetto della privacy e della riservatezza e conservazione dei dati da parte delle piattaforme che gestiscono i Mondi Virtuali. Il modello più avanzato di tutela della privacy è rappresentato dal GDPR (General Data Protection Regulation) europeo, 2016/679. Questo strumento regolatorio è preso come riferimento da tutto il mondo, e costituisce ormai una pietra miliare nella regolamentazione dei diritti legati alla protezione dei dati. Negli USA non esiste una normativa come questa a livello nazionale, essendo ogni stato libero di legiferare in materia. Lo stato della California, ad esempio, così come il Canada e l’Australia, hanno adottato una regolamentazione mutuata dal GDPR europeo. Questa frammentazione ha reso in passato complicato l’applicazione dei diritti dei cittadini europei sulle piattaforme basate negli USA, anche a motivo di uno specifico “Executive Order” vigente negli USA, che consente alle autorità di sicurezza di accedere a qualsiasi dato per scopi di sicurezza nazionale. Sono stati fatti, di recente, molti passi in avanti con accordi specifici tra USA e UE in questo senso, migliorando di molto questo aspetto, e rendendo più agevole la comune difesa dei dati e della privacy.
Ho voluto sottolineare questa problematica perchè la maggior parte delle piattaforme che gestiscono i Mondi Virtuali sono basate negli USA, anche se la localizzazione dei Data Centers è sparsa per il mondo, secondo anche un principio di “Edge Computing”, di vicinanza. E’ quindi fondamentale conoscere queste tutele, in relazione al diritto alla privacy dell’Avatar. Ad oggi ogni piattaforma di gestione dei Mondi Virtuali ha proprie procedure di autenticazione e autorizzazione all’accesso, avendo account e modalità di gestione proprie. Non esiste alcuna interoperabilità tra i Mondi Virtuali, anche se, in futuro, sarebbe del tutto auspicabile poter disporre di una “Identità” univoca dell’Avatar, per consentire l’accesso alle diverse piattaforme utilizzando la stessa “identità”, tipo lo SPID italiano, per intendersi. Questa modalità richiederà però una evoluzione della giurisdizione, anche a livello internazionale, ed ancora non ci siamo arrivati.
Tornando all’Avatar, e alle modalità con cui esso viene riconosciuto in-world, è evidente che, al di là dell’Aspetto (umano, fantasioso, furry, ecc.) e delle attività svolte, l’Avatar è pienamente la nostra manifestazione digitale, siamo noi stessi, non esiste alcuna forma di “personificazione” dell’Avatar indipendente dall’individuo che lo ha creato. Possono cambiare i comportamenti, in relazione alle attività svolte e alle modalità in cui si vuole essere riconosciuti nel Mondo Virtuale, ma sempre noi stessi siamo, con la nostra mentalità, la nostra cultura, ed i preconcetti che abbiamo. Ho sentito in passato, e ancora sento oggi, fantasiose elucubrazioni sulla “personalità avatariana”, che possono avere senso se la intendiamo nel modo che abbiamo qui discusso, ma che sono del tutto immaginifiche se si vuole sostenere una forma di “indipendenza” dell’Avatar dalla persona fisica che lo gestisce. Naturalmente, il diritto a esprimere ogni opinione è sacro, ma sempre tenendo a mente l’ammonizione di Umberto Eco: che la rete ha dato libero diritto di espressione a chiunque, dal premio Nobel allo scemo del villaggio, e sta a noi distinguere l’uno dall’altro. E questo vale anche in relazione alla pletora di fake news che circolano in rete, su qualsiasi argomento.
La rete è, come sappiamo, un ambiente complesso, e bisogna imparare a gestirlo e a difendersi dalle minacce di ogni tipo, da quelle digitali, a quelle psicologiche, a quelle legate alla privacy e ai diritti. E’ una lotta continua tra guardie e ladri insomma, ma quello che rende questo mondo così attrattivo e pieno di opportunità è la possibilità di interazione con gli altri. Dobbiamo però avere la capacità di difenderci e di svolgere in libertà le nostre attività, in particolare nei Mondi Virtuali, perchè questi realizzano un ambiente di vita vero e proprio, con tutte le caratteristiche e le forme che possono assumere, così come i mondi fisici. Quello che dobbiamo curare è insomma la nostra “awareness“, la nostra consapevolezza, e il modo in cui viviamo e facciamo evolvere la nostra presenza in rete. L’Avatar, per i Mondi Virtuali, è la figura chiave di questa presenza, e dobbiamo valutarlo e farlo vivere nella giusta prospettiva, sia per noi stessi sia per le altre persone con cui interagiamo. Nel rispetto dei diritti e della personalità di chiunque.
Un saluto.
Nota: Le immagini sono state create con l’AI Microsoft Copilot, su mio prompt.
Il 2 maggio scorso un secondo, importante, comunicato è stato rilasciato dalla Linden Lab sul tema del miglioramenti dei processi e delle procedure operative rivolte ad una migliore gestione e tutela dei minori, e alla condotta verso gli utenti di quanti rappresentano o dipendono dall’azienda:
Questo secondo comunicato, sempre a firma di Oberwolf Linden (aka Brad Oberwager) il CEO della Linden Lab, fornisce diverse informazioni sull’argomento, oltre che un aggiornamento sullo sviluppo (ormai leggendario) della versione mobile del viewer di Second Life:
Si sta lavorando ad un miglioramento del processo di verifica dell’età degli utenti.
Si sta aggiornando la politica dell’azienda sugli avatar infantili per “garantire e salvaguardare tutti i membri della comunità”
Si è preparato un elenco di FAQ per spiegare bene questo passaggio, che potrebbe dare adito a discussioni e proeoccupazioni.
L’indagine interna sulla condotta di personale dipendente o subappaltato della Linden Lab ha portato alla conclusione che tutti hanno rispettato le linee guida della comunità, anche quelle di tipo etico e non scritte.
Si stanno aggiornando le politiche interne per migliorare gli standard di comportamento dei dipendenti verso i membri della comunità.
Tutti punti chiari, che si fanno carico di molti miglioramenti da apportare. Allo stesso tempo, il punto (4) smentisce nettamente tutte le illazioni e le dichiarazioni contenute in un recente articolo, a firma di “Robert Bartos”, su presunti comportamenti illeciti da parte di personale collegato all’azienda.
Dobbiamo naturalmente dare credito e fiducia a quanto dichiarato da Oberwolf Linden, e restare in attesa degli ulteriori sviluppi di queste iniziative. Tuttavia, a distanza di più di due mesi da quell’articolo, siamo ancora agli annunci, e non si vedono ancora i risultati concreti di queste iniziative. Sarebbe quindi auspicabile una maggior celerità nell’affrontare temi tanto sensibili e critici, per tutta la comunità di questo Mondo Virtuale, dando una chiara evidenza e opportuna pubblicità ai risultati.
Crediamo però che il tema degli avatar rappresentanti minori, o bambini, debba però essere affrontato in maniera molto netta, e diremmo drastica:
GLI AVATAR BAMBINI DOVREBBERO ESSERE VIETATI IN SECOND LIFE
Ci rendiamo conto che questo implicherebbe conseguenze di vario tipo: commerciale, per i produttori di accessori e oggetti, e anche operativo, per quanti utilizzano in buona fede, anche nell’ambito di attività di role playing, certi tipi di avatar. Ma il tema è troppo sensibile per non farsene pienamente carico.
L’utilizzo degli avatar bambini, per attività legate a programmi di education da parte di scuole o altre organizzazioni, che prevedano l’ingresso in Second Life di minori, dovrebbe essere rigidamente normato, identificando in modo evidente a tutti questa tipologia di avatar, preventivamente autorizzata, usando specifici modelli di avatar messi a disposizione dalla piattaforma in fase di registrazione di questi account.
Andrebbero poi rese pubbliche le norme di comportamento, ed il “codice etico” dell’azienda, per il comportamento dei dipendenti verso la comunità.
Un provvedimento adeguato alla migliore gestione delle problematiche legate ai minori potrebbe poi essere l’istituzione di una speciale categoria di Report Abuse, del tipo “CODICE ROSSO“, che molte legislazioni, compresa quella italiana, utilizzano nel caso di violenza a donne e soggetti deboli. Questo tipo speciale di report abuse dovrebbe essere trattato in maniera immediata e prioritaria, dando una risposta entro, ad esempio, al massimo 6 ore, da parte dell’azienda.
Sono proposte che, se adottate, darebbero una chiara evidenza di come l’azienda intende gestire questi temi così sensibili, e sarebbe anche un atto coraggioso e rassicurante adottarli da parte della Linden Lab. Per quanto ci riguarda, sono proposte che facciamo con assoluta fiducia nel management dell’azienda, ma che, evidentemente, sono per noi di fondamentale importanza. Perchè l’intera comunità di Second Life attende risposte concrete, oltre gli annunci.
Percorrere le strade della rete è un affare complesso, che espone ad ogni genere di commenti e di notizie, vere o false che siano, belle o brutte, serene o aggressive, offensive o piacevoli. Sono mari agitati, e chi va per certi mari…
La rete, con la sua pervasività, ha dato un pulpito ai santi e ai ladri, ai benefattori e agli odiatori, ai filosofi e ai frustrati, e anche a farabutti di ogni genere. Lo diceva bene Umberto Eco: “Prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli“.
Ma non è solo questo, la rete è qualcosa di molto di più. E’ divenuto terreno d’azione di delinquenti, frustrati, odiatori di professione, truffatori, pedofili, hacker del dark web in cerca di prede, spie, ladri di identità, e chi più ne ha più ne metta. Sono mari agitati, e i deboli, spesso soccombono.
Per questo motivo, e per fortuna, le forse dell’ordine fanno un grande lavoro di indagine e di contrasto, ma questo vale per il rispetto della legge, non certo per l’etica e l’educazione civile. Per questo dobbiamo proteggerci da soli, anche con l’aiuto di quanti sono più simili alle nostre sensibilità, e ai nostri valori.
E allora il teorema che non dobbiamo rinchiuderci nella nostra “bolla“, leggendo e dialogando solo con chi la pensa come noi, è sbagliato. I sociologi della rete hanno torto, perchè questo della rete non è un mondo ideale, dove la parità di diritti e di ascolto è legge comune, è invece un mondo difficile, fatto spesso di soprusi e di sopraffazione dei più deboli.
Questo è il motivo per cui ognuno di noi deve invece crearla quella “bolla” protettiva, se si vuole utilizzare la rete per confrontare idee, dialogare, acambiare esperienze. E questo vale, a maggior ragione, per i Mondi Virtuali, dobbiamo crearci i nostri Firewall, per filtrare gli abusi e gli attacchi gratuiti, aprendo le porte a chi vuole invece dialogare, serenamente, con rispetto delle differenze e delle opinioni.
Il rischio di perdere informazioni e modi di vedere di chi non la pensa come noi va compensato, diversificando le fonti di informazione, e cercando in maniera proattiva il confronto con chi lo permette, ma sempre pronti a gestire i nostri firewall di protezione. E per fortuna questo è possibile, con l’esperienza e la capacità critica.
Non è un mare ideale, quello della rete, è un oceano pieno di ogni genere di creature: dai simpatici cavallucci marini agli squali tigre, pronti ad azzannare i malcapitati e gli indifesi. E’ nostro dovere proteggere noi stessi, e le persone a cui vogliamo bene e che stimiamo. A meno di non ritirarci in cima al palo come San Simeone. Ma io, francamente, non mi ci vedo …
Una pillola di tecnologia digitale su un argomento di cui molti parlano senza avere un’idea chiara di cosa siano: gli NFT (Non Fungible Token). E’ molto semplice spiegarli, complicato capire come tecnicamente funzionino, ma di questo non ci occuperemo in questo articolo. Chi avesse voglia di capire il modello ingegneristico che c’è alla base può scrivermi o trovare infinite risorse sulla rete.
Un NFT è un’attestato di proprietà di un token digitale. Un oggetto digitale (di qualsiasi tipo), registrato su una Blockchain (solitamente Ethereum), in modo da renderlo unico, riconoscibile, e sicuro. Ad oggi la blockchain non è mai stata violata da hackers, ed è quindi ritenuta sicura e affidabile. E’ basata su di una architettura decentralizzata (distribuita su molti nodi, senza un gestore unico) che utilizza un protocollo Peer-To-Peer (P2P), come i vecchi Napster e eMule. Le vulnerabilità di una archietettura su blockchain sono nella gestione del “Wallet“, il portafoglio digitale in cui sono conservate le chiavi di accesso, e negli eventuali errori umani nella scrittura di codice per la creazione di “Smart Contract“, ma sono entrambe debolezze esterne, non della blockchain.
Un NFT può anche definire il numero di copie legittime di un token digitale, vendibili separatamente, ma comunque in un numero molto limitato. Ogni copia è naturalmente autentica, così come avviene per le serigrafie, per le opere fisiche, numerate ognuna come copia m di n (2/10 è la seconda copia di 10 create).
Un NFT creato da Mike Winkelmann, in arte “Beeple“, collezionando 5.000 post-it da lui creati giornalmente, è un’opera digitale che è stata battuta all’asta da Christie’s al valore esorbitante di 69 Million $. Molti sono stati infatti gli eccessi speculativi a cui abbiamo assistito, come la vendita di NFT di “Cryptopunks” o di “Cryptokitties“, immagini digitali divenute cult.
Se volete avere un’idea della capitalizzazione raggiunta da questi NFT, il più delle volte creati in intere collezioni, e delle quotazioni in tempo reale, basta andare sul sito seguente:
Sul valore delle immagini digitali si può discutere a lungo, ma sarebbe come discutere del valore di certe croste fisiche, non digitali, anch’esse vendute all’asta e regolarmente acquistate. Del resto, questo è il mercato, l’incontro tra domanda e offerta, nulla di nuovo sotto il sole. La novità degli NFT è la possibilità di attestare in modo univoco la proprietà di un oggetto digitale, come ad esempio una immagine JPG scattata in un Mondo Virtuale.
Questo era difficilissimo fino ad ora, e qualcosa ne sanno gli artisti musicali, con la diffusione nel passato di MP3 pirata dei loro pezzi. Con la registrazione di un NFT si certifica l’origine e la proprietà di un token digitale, così come anche la sequenza di transazioni di compra-vendita.
Certo, esiste la possibilità che qualcuno vada su Open Sea, uno dei maggiori marketplace di NFT, e ne faccia una copia abusiva, ma sarebbe appunto una contraffazione, perchè il proprietario rimarrebbe quello che ha registrato l’NFT o che lo ha acquistato regolarmente, con una transazione registrata sulla blockchain. Il fenomeno della contraffazione è molto diffuso con gli oggetti fisici, dalle opere d’arte ai prodotti di marchi famosi, e l’utilizzo della blockchain anche per loro aiuterebbe a combattere questo fenomeno criminale.
Le immagini che ho riportato in questa pagina, ad esempio, sono immagini registrate sulla Blockchain Ethereum, della serie “Bored Ape Yatch Club”, questo qui sopra, ad esempio, è valutato oggi in 16 Ether, un valore pari quasi a 58.000 $ in valuta ufficiale:
E’ una esagerazione? Sicuramente, ma il nostro giudizio tuttavia è irrilevante, perchè esiste un mercato, e c’è gente che commercializza questi prodotti, il che vuol dire che gli acquirenti ci sono. Perchè li comprano? Per fini speculativi, soprattutto, sperando che il prezzo salga e che possano poi rivenderli con un guadagno. Del resto esistono acquisti allo scoperto per grano, petrolio, cereali, e nessuno se li fa recapitare a casa, sono solo movimenti di trading. Ma ci sono anche quelli realmente interessati all’opera in se, una piccola minoranza ritengo, viste le quotazioni a cui siamo arrivati, ed è il mondo del collezionismo.
Esistono poi tutta una serie di aziende che hanno “tokenizzato” i loro asset fisici, creando degli NFT che possono pei essere portati un in negozio fisico per il ritiro del bene acquistato. Sono state soprattutto le aziende del fashion a sperimentare questi token, ma anche del food e naturalmente del Gaming, con un successo notevole, visti i grandi marchi che sono rappresentati: Nike, Gucci, Dolce & Gabbana, Campari, Coca Cola, McDonald’s, ecc.
La normativa che riguarda gli NFT è ancora da completare, in particolare non sono ancora definite univocamente la stessa natura, e la forma giuridica degli NFT, che siano cioè dei prodotti finanziari, delle merci, o dei titoli. C’è ancora una discussione in corso tra gli esperti di diritto digitale, e occorrerà quindi attendere nuovi ulteriori sviluppi, che dettino delle linee guida più chiare per l’utilizzo pienamente operativo di questi asset, e per dare maggiori certezze a questo nuovo mercato.
Ho fatto anch’io, naturalmente, delle registrazioni di NFT su OpenSea, ed ho anche acquistato un paio di Cryptokitties, giusto per testare la catena di creazione-vendita-acquisto. E’ tutto visibile sul Marketplace, con la storia delle transazioni, i venditori e gli acquirenti. Se qualcuno, per esempio, volesse comprare un mio NFT, con il prezzo che io ho stabilito per la vendita, lo troverebbe qui:
Naturalmente il mio è stato solo un caso di studio, ed il prezzo che ho fissato è quello che ho pagato per l’acquisto, poche decine di euro, ma tutti gli step sono stati correttamente eseguiti, per testare il processo di creazione e vendita.
La Blockchain (qualsiasi blockchain) è pubblica, sicura e immutabile, e il registro delle transazioni eseguite, dalla nascita della blockchain in poi (il “Ledger“), è distribuito in copia su tutte le migliaia di nodi della catena. Sono i nodi che elaborano le transazioni, certificandole e inserendole sulla Blockchain, ricevendo un compenso in cryptovaluta per il loro lavoro computazionale (e per l’energia spesa nel “mining“). Di blockchain ce ne sono tante, e la prima nata è naturalmente quella dei Bitcoin, mentre Ethereum è la blockchain più itilizzata per gli NFT, perchè è su Ethereum che sono stati implementati per prima gli “Smart Contract” con cui è possibile creare gli NFT. Tutte queste operazioni sono trasparenti per chi utilizza un Marketplace, ma è questa la tecnologia che c’è alla base delle blockchain. La Blockchain è oggi una tecnologia allo studio delle maggiori istituzioni internazionali, di banche, di operatori finanziari e di aziende, e che trova già molte applicazioni, in particolare per le Cryptovalute, Bitcoin in primis, ma anche per i diversi mercati di token digitali.
Un’ultima osservazione che vorrei fare è che un NFT sarebbe anche il modo migliore per “certificare” la proprietà di un Avatar, oltre che di un territorio nel Mondo Virtuale, creando quindi una sorta di “identità digitale” sul modello dello SPID, che possa consentire l’utilizzo di diverse piattaforme virtuali mantenendo l’univocità della identità dell’Avatar su tutte le piattaforme. Un piccolo tassello di “interoperabilità”, diciamo. Ma questa è un’altra storia …
NOTA AGGIUNTIVA:
Creare o comprare un NFT, e certificare così il diritto di proprietà di un’opera digitale, non ci mette al riparo da un utilizzo non autorizzato dell’opera. Certo, chi la dovesse copiare non potrebbe attestarne la proprietà sul mercato degli NFT, ma intanto potrebbe farne tutti gli usi non autorizzati che ritenesse. Si tratterebbe di una contraffazione di prodotto, come avviene per gli oggetti fisici, un fenomeno contro cui si lotta da sempre.
E’ bene ricordare che un’opera digitale rientra nella categoria delle “Opere di ingegno” e per un’opera di ingegno e la sua proprietà intellettuale esistono due tipi di diritto: il “diritto morale” che attribuisce all’autore dell’opera il diritto di rivendicare per sempre la paternità dell’opera, anche nel caso di vendita, e il “diritto patrimoniale“, per cui è possibile cedere ad altri il diritto di sfruttamento. Il diritto morale è tutelato, sul mercato degli NFT, con le royalties che vengono riconosciute all’autore ad ogni passaggio di proprietà.
Per tutelarsi anche legalmente dall’uso non autorizzato dell’asset, si può apporre un Watermark sulla foto e registrarne la proprietà presso gli enti competenti per il Copyright, o presso gli enti specifici per i prodotti d’autore (la SIAE in Italia per i brani musicali, ad esempio). Altra strada è quella di tutelarsi consentendo la diffusione dell’opera sotto una licenza Creative Commons(CC). In ogni caso l’autore va dichiarato sulla foto, con il Watermark contenete il nome dell’autore e la data di creazione, inserendo una filigrana visibile sull’immagine, o inserendola steganograficamente con un software, in modo non visibile.
Quindi, in sintesi, la definizione giuridica di un NFT ancora allo stato embrionale, ad oggi, non ci permette di tutelarne legalmente la proprietà, ma occorre seguire le norme giuridiche consuete per la protezione delle opere d’ingegno, qualora lo si ritenesse necessario naturalmente.
Avrete notato che negli ultimi tempi sulla rete girano immagini di ogni genere, generate dai software di intelligenza artificiale (“AI”). Ce ne sono tantissime, dalle più grezze a quelle davvero bellissime, generate su nostra richiesta da questi software. E’ la nuova frontiera delle immagini digitali, e costituisce uno degli utilizzi oggi più diffusi di questi software di nuova generazione, cosiddetti “generativi“, come Chat-GPT, per intenderci.
Solo un cenno, davvero rapido, su come funzionano questi strumenti. Hanno sostanzialmente due componenti principali: un enorme Data Base, con tutto quanto hanno raccolto sulla rete, che serve come “base di conoscenza”, per ricercare testi o immagini analoghe prodotte in precedenza. Questo pone anche una serie di problemi: sulle autorizzazioni, il Copyright, la veridicità delle informazioni raccolte con questa “pesca a strascico”, eccetera. Non a caso si stanno elaborando delle regole, a livello internazionale, ed anche l’Unione Europea ha prodotto un AI-Act, per gestire questa e molte altre criticità poste dall’utilizzo di questi prodotti, come la certificazione delle fonti e la riconoscibilità di quanto prodotto dalle AI.
(Immagine generata dal Copilot Microsoft)
L’altra componente principale è basata sul Machine Learning, la capacità di “imparare”, con una lunga fase di “addestramento”, e di produrre risultati in modo autonomo, generando quindi cose nuove, in modo autonomo dal contributo umano. Ma la “generazione” avviene a partire dalle richieste che noi facciamo loro, dalla precisione e dalla mancanza di ambiguità di queste nostre richieste. Si pone quindi il problema di imparare a definire bene le richieste, a come produrre cioè i cosiddetti “patterns” più adatti. E da qui stanno nascendo nuove professioni e nuove competenze, che dovremo acquisire man mano, per usare al meglio le AI Generative.
(Immagine generata dal Copilot Microsoft)
Detto questo, come introduzione, si pone un problema enorme, quasi storico, che riguarda l’identificazione dell’origine di questi prodotti: testi, immagini, e ora anche filmati. L’AI-Act impone di dichiarare le fonti, ma da qui a vedere applicata questa regola, ce ne passerà di tempo… Anche perchè l’AI-Act, seppure già approvato dal Parlamento Europeo, ancora non è arrivato alla fase attuativa. E poi, pensiamo alla proliferazione a livello internazionale di questo tipo di prodotti: testi, immagini, filmati. Così come si assiste, da sempre, al fenomeno della contraffazione, anche per i beni fisici, figuriamoci poi per questi digitali. Ma la tecnologia ci viene in soccorso: una soluzione efficace sarebbe quella di creare degli NFT sulla Blockchain, anche se l’utilizzo di questi strumenti ancora non è molto diffuso, e trova tanti ostacoli e molti denigratori in giro per il web, a causa delle truffe in Cryptovaluta e delle speculazioni esagerate a cui abbiamo assistito ultimamente. Ne abbiamo parlato già in passato su questo Magazine, quella della Blockchain è una tecnologia ancora giovane ed immatura. E allora, nel frattempo, cosa facciamo? Come si fa a stabilire se l’immagine di sua Santità Francesco in piumino fosse vera, o prodotta da una AI (era falsa naturalmente, prodotta da una AI) ?
(Immagine generata da una AI, dalla rete)
Per pura curiosità, non perchè sia di facile utilizzo, vi voglio indicare il possibile uso della “Steganografia“. Termine oscuro, per il 99% degli individui, me ne rendo conto, ma proviamo a spiegarlo in due parole: la steganografia è la tecnica di nascondere delle informazioni all’interno di oggetti digitali di vario tipo: musica, immagini, ecc. Parliamo delle immagini, per rendere molto semplice la comprensione. Sappiamo tutti che una immagine digitale è composta da tanti “pixels”, microscopici quadratini, ognuno con il proprio livello di RGB: Red (rosso), Green (verde) e Blue. Per ognuno di questi tre colori fondamentali c’è una diversa intensità, indicata con un numero da 1 a 255. Quindi, se diciamo che quel pixel ha un RGB di 000:025:122, stiamo indicando l’intensità di ognuno dei tre colori fondamentali, che, mescolati insieme, danno il colore specifico di quel singolo “pixel”. Tutti i pixel insieme ci danno l’immagine, e quello che varia da una immagine all’altra è la “definizione”, e cioè quanti pixel compongono una immagine. Più pixels ci sono nell’immagine, più l’immagine è ben definita. Una immagine di 1920×1080 pixels, è meno definita di una con 384×2160 pixel, e più diminuisce il numero di pixel componenti l’immagine, più l’immagine si “sgrana”. Perdonate questa digressione tecnica, e torniamo alla Steganografia.
(Immagine generata dal Copilot Microsoft)
In una immagine tipo possiamo avere, ad esempio, 1920×1080 pixels (larghezza x altezza), questo vuol dire 2.073.600 di pixels, ognuno con la sua gradazione di colore, data dal suo RGB: un’enormità di informazioni, ma per fortuna ci pensa il software di gestione immagini a gestirla, e la scheda grafica ad interpretarla. Ora, se di questi milioni di pixels noi ne sfruttassimo alcuni (o anche tanti..!) per nascondere un messaggio, l’immagine non cambierebbe assolutamente per la nostra percezione, perchè molti pixels sono ininfluenti, non levano e non mettono nulla all’immagine nel suo complesso. Se ne sfruttiamo una parte per inserirci dei dati, “nascosti” per contenere un messaggio, ad esempio, per la percezione dell’occhio umano non cambia assolutamente nulla! E quello che abbiamo detto per i pixels delle immagini vale anche per i messaggi sonori, composti da una moltitudine di frequenze diverse, alcune neanche percepibili dall’orecchio umano.
E’ la tecnica utilizzata per mandare messaggi nascosti, spesso usata dalle spie o da soggetti malevoli, o anche per usi legittimi ma riservati, per passare informazioni. Questa è la “Steganografia“, in pillole. E questa tecnica potrebbe anche essere utilizzata per inserire una “firma“, un marchio che ne attesti l’origine e la proprietà. Una tecnica divertente e curiosa, e di non facile utilizzo (tranquilli, ci sono prodotti software che fanno questo, come OpenPuff, ad esempio). Naturalmente, questa tecnica è oggi ampiamente superata, sia dagli NFT sulla Blockchain che dalla Firma Digitale con chiave asimmetrica, chiave privata per firmare, e decodificabile unicamente con la chiave pubblica di un soggetto, in modo da attestarne l’autenticità. E’ la moderna “Crittografia a chiave Asimmetrica” (che differisce da quella a chiave simmetrica, che utilizza la stessa chiave sia per la codifica che per la decodifica).
Ma a volte, le vecchie tecniche dei nonni risultano più divertenti da usare, e la Steganografia è una di quelle. Per quanto mi riguarda, sono un sostenitore degli NFT su Blockchain, una tecnologia davvero geniale, ma nella vita occorre anche divertirsi..!
Un saluto.
(Nota: l’immagine in evidenza è generata dal Copilot Microsoft)
Se guardate alla destination guide del sito di Second Life, vedrete che è apparsa, come nuova destinazione da visitare, la “History” di Second Life, costruita nella land del Primitive Museum di Xerses Goff da Sniper Siemens (http://maps.secondlife.com/secondlife/Immaculate/140/202/22).
E’ un lavoro davvero straordinario, che racconta, pannello dopo pannello, a partire dal 1999 e fino al 2022, tutta la storia di Second Life (Sniper ha promesso di aggiornarla ad oggi …).
Scorrendo i pannelli, con le descrizioni e le immagini, accompagnate anche da qualche filmato su YouTube, quelli di noi che frequentano questo Mondo Virtuale da anni ripercorrono via via anche la loro storia personale, fatta di tante esperienze, e di tanti momenti che hanno contrassegnato la crescita di questa esperienza virtuale per milioni di persone.
Perché a tutt’oggi, nonostante l’evoluzione veloce della tecnologia, delle realizzazione di interfacce con i Visori di VR, e della Blockchain e degli NFT, Second Life rimane il Mondo Virtuale per antonomasia, quello in cui si vivono le esperienze immersive più coinvolgenti, di ogni genere, e che ha mantenuto la sua caratteristica di Mondo Virtuale fatto dai residenti, e per i residenti. Con la sua economia, i suoi creatori, gli artisti, i performer, le esperienze di volontariato, di education, e così via.
L’installazione si sviluppa su tre piani, mentre sul terrazzo c’è la storia della Burning Life. Ogni piano è costituito da un corridoio che si snoda a spirale, per ottimizzare gli spazi che ospitano i tantissimi pannelli, e alla fine del percorso a spirale, su ogni piano, c’è il teleport al piano superiore o all’ingresso.
Naturalmente, la nostra amica Sniper Siemens non ha realizzato tutto questo in poco tempo, ma è questo il risultato di un lavoro di anni, partito nel 2014 e portato avanti nelle varie edizioni del progetto LEA, e fino all’ultima esposizione, nell’ambito degli eventi realizzati per il SLB20, il ventesimo compleanno di Second Life lo scorso anno. Io scrissi un articolo nel 2015, su questo suo lavoro in fase di avvio (https://www.virtualworldsmagazine.com/la-storia-di-second-life/).
Ora, finalmente, questa esposizione trova una collocazione stabile, in mainland e accanto alla mitica Ivory Tower. L’installazione, al momento in cui scrivo, ha già visto quasi 900 visitatori unici in soli 5 giorni, con moltissime visite illustri e di esponenti della Linden Lab.
Chiunque sia interessato a questo Mondo Virtuale, alla sua storia, e a tutte le novità che ha introdotto nel corso degli anni, non può non visitarla, perché, quando il polverone del “Metaverso” si sarà diradato, Second Life emergerà come l’esempio più significativo di Mondo Virtuale, e sarà il punto di riferimento per ogni futura evoluzione delle varie piattaforme che stanno via via nascendo. Una curiosità: vicino al punto di atterraggio dell’installazione c’è anche l’Easter Egg dei primordi, rappresentato da un Hippo! Pare che esista in Second Life un secondo Easter Egg, ma finora nessuno è stato in grado di trovarlo. Provateci, e buona visita!
E’ da alcuni giorni che gira questa notizia di uno stupro collettivo, avvenuto in un non meglio precisato “Metaverso“, ai danni di una ragazzina britannica di 16 anni. La notizia è ripresa da tutti i giornali mainstream, dando luogo ad interpretazioni e commenti di vario genere. Sembra che la magistratura britannica abbia preso in seria considerazione il fatto. Si cerca di chiarirne i contorni, per quanto la legislazione non aiuti a sufficienza, quando si tratta di questi episodi al limite tra reale e digitale.
Intanto, è bene chiarire che non si tratterebbe assolutamente di uno stupro “fisico” ai danni della ragazza, perchè, naturalmente, lo stupro sarebbe stato commesso ai danni di un Avatar, all’interno di un ambiente digitale, e nessun danno di tipo fisico sarebbe stato subito dalla ragazza. Ma questo non diminuisce la gravità del gesto, nè autorizza a liquidarlo con sufficienza, con frasi tipo “poteva togliere il visore!” oppure “poteva spegnere il computer!”.
Non si tratta di uno stupro fisico, ma la violenza potrebbe avere delle conseguenze di tipo psicologico gravi, se ci si trova in certe situazioni. Nel caso in cui la ragazza, ad esempio, non sia stata capace di crearsi una specie di “valvola di sicurezza” psicologica, necessaria quando ci si muove in ambienti virtuali, nel caso in cui, cioè, l’inesperienza l’abbia portata a vivere con una completa intensità la situazione in cui si è trovata. L’effetto psicologico di eventi che si verificano nei Mondi Virtuali può essere infatti estremamente pesante, incidendo profondamente nella vita di una persona e nei suoi comportamenti, anche nel mondo fisico. Per tale motivo la violenza subita non può essere assolutamente sottovalutata.
E’ bene ricordare che la frequentazione di ambienti digitali, che siano il web o le piattaforme immersive, non ci esime dal rispettare le leggi e le regole vigenti nella società fisica. Un reato commesso in rete è sempre un reato, come l’accesso abusivo a sistemi informatici, il revenge porn, il furto di identità, la truffa, o anche il “brain hijacking“, la manipolazione dei più deboli. Lo “stupro” in questione non è però semplice da definire in termini di giurisprudenza, non trattandosi di violenza fisica, per cui esistono leggi specifiche, ma di tipo psicologico. Il reato andrebbe quindi a collocarsi nella sfera delle violenze psicologiche, rientrando in altre fattispecie di reato, dai contorni più complessi da identificare in modo circostanziato. Benissimo hanno quindi fatto i magistrati britannici a prendere in seria considerazione il caso, per individuarne più precisamente i profili di reato commessi.
Questo episodio, per quanto non certamente il primo ad essersi verificato in ambienti virtuali, assumerà, a mio parere, una importanza storica, perchè potrebbe definire il profilo giuridico di questo tipo di reati, e farà sicuramente giurisprudenza per le future situazioni del genere, su tutte le piattaforme che implementano i Mondi Virtuali.
La questione poi di individuare e perseguire i responsabili è faccenda alquanto complicata, che prevederà indagini lunghe e complesse, che richiederanno anche collaborazioni internazionali, e non è detto che si arrivi ad individuare tutti i colpevoli. Ma questo nulla toglie al caso in questione, in termini di rilevanza e di “caso studio” per il futuro.
Al di là di queste considerazioni, che ci servono per cercare di delineare in modo più razionale quanto riportato da certa stampa, poco avvezza e spesso superficiale nell’affrontare i temi legati al digitale, dobbiamo preoccuparci, in via prioritaria, di come proteggere i nostri ragazzi dalle esperienze in rete. Si è fatto pochissimo finora, i genitori spesso “abbandonano” i figli davanti al PC e tocca poi alla scuola sopperire a queste carenze. A volte ci riesce, spesso no. E’ un problema molto serio, ed è in capo a noi tutti la responsabilità di educare i nostri ragazzi ad un comportamento sano e prudente sulla rete, che si tratti dei social o anche dei Mondi Virtuali.
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